lunedì 24 aprile 2023

L' età repubblicana e le popolazioni di origine celtica

L'età repubblicana: le popolazioni di origine celtica

Il periodo storico dell'età repubblicana che fu interessato da importanti tentativi di secessione sociale da parte dei plebei, al fine di ottenere diritti e libertà, fu caratterizzato dall'ascesa nella penisola italica, di popolazioni di origine celtica, in cerca di territori in cui stabilirsi. Primi tra tutti, Equi e Volsci, spingendosi fino in Etruria, vennero a saccheggiare varie città etrusche, entrando, poi, in contatto con le zone sotto l'influenza romana. A tale proposito, rilevò la vicenda di un patrizio dell'Urbe che fu soprannominato Coriolano dalla città di Corioli in cui aveva ottenuto un successo militare. Questo esponente politico e dell'esercito fu costretto all'esilio dalla popolazione plebea in quanto si era opposto alla distribuzione delle terre in suo favore. Cacciato da Roma, per ripicca, passò al nemico, divenendo comandante del suo esercito. In questo ruolo, ottenne vari successi contro i Romani e, tuttavia, nel momento in cui stava per dare all'Urbe il colpo di grazia fu indotto a ritirarsi. Essendo ciò risultato cosa sgradevole ai soldati che comandava fu giustiziato, come traditore. Comunque, nelle vicende che coinvolgono Equi e Volsci, in confronto militare diretto contro i Romani, rilevarono anche le figure di 2 consoli, poi, nominati dictator, al fine di meglio operare in guerra, avendo il completo controllo dell'esercito. Il primo dei 2 fu Quinzio Cincinnato, il secondo Marco Furio Camillo. Per quanto riguarda Cincinnato, dittatore per sedici giorni, non appena riuscì a scongiurare il pericolo dell'invasione di Roma da parte degli Equi, rinunciò alla sua carica e si ritirò presso il suo podere per svolgere l'attività di agricoltore, dimostrando molto senso civico ed ergendosi a paladino integerrimo delle istituzioni romane. Per quanto riguarda, invece, Furio Camillo, ottenne una serie di brillanti successi contro i Volsci che, però, a lungo andare lo resero inviso agli occhi del Senato e, per questo motivo, alla fine, fu costretto all'esilio. L'ex dictator si ritirò, dunque, ad Ardea. Nel frattempo, altre popolazioni di origine celtica penetravano dal Nord, nella pianura padana e si trattò di Insubri, Boi, Cenomani e Senoni. Furono proprio questi ultimi che causarono i maggiori problemi a Roma. Sotto la guida di Brenno, infatti, nel 390 a.C. si avventurarono nel Lazio, fino a mettere d'assedio l'Urbe. A tale proposito, si narra come i Romani abbandonarono le loro dimore per rifugiarsi sul Campidoglio, al quale fu mosso l'assalto dai Galli e, in base alla leggenda, solo il provvido allarme che diede un gruppo di oche, al sopraggiungere dei barbari, evitò il peggio. Infatti, Manlio Capitolino, comandante della guarnigione posta a difesa del Campidoglio riuscì a intervenire per tempo. Comunque, i Galli Senoni di andarsene subito da Roma non ne avevano alcuna intenzione ed essendo rimasti presso la Curia i Senatori si rivolsero a loro per farsi pagare un cospicuo riscatto. In base alla leggenda, Roma avrebbe dovuto versare agli invasori molto oro e per aumentarne la quantità, Brenno, addirittura, gettò sul piatto della bilancia, che ne stava stabilendo il peso, anche la sua spada, proferendo le celebri parole "Vae Victis" (guai ai vinti). A questo punto, però, ci fu il ritorno in scena di Marco Furio Camillo che, richiamato dall'esilio, si prestò, ancora una volta, per fare gli interessi di Roma e liberarla dai barbari. Sembra, addirittura, che, al capo dei Galli Senoni, avesse risposto che l'Urbe non doveva essere liberata con l'oro, ma con il ferro. Fatto sta che, al di là del mito, la città fu, effettivamente, messa a sacco dai Galli e questi ultimi, poi, se ne andarono, riprendendo la strada per il Settentrione, non essendo nel loro interesse stazionare nella zona e neppure dare luogo, per propria abitudine, a un agglomerato urbano stabile e duraturo.

C.C.Tacitus (profilo storico personale)

(Nell'immagine guerrieri celti)