mercoledì 3 aprile 2024

MARCO LICINIO CRASSO

𝗟𝗘 𝗦𝗧𝗢𝗥𝗜𝗘 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗥𝗘𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗔: 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗺𝘂𝗼𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗥𝗲𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮, 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗖𝗿𝗮𝘀𝘀𝗼

Marco Licinio Crasso è il tipico caso di chi nasce con la camicia. Certo, ai tempi dell’antica Roma si portavano quegli assurdi togoni che nei rigidi inverni dell’epoca là sotto stavi sempre bello fresco, ma ci siamo capiti.

Il padre Publio Licinio Crasso Dive è ricco di suo e pure console nel 97 prima dell’era comune, lui è di bell’aspetto, ci sa fare con le persone, ha successo come militare e un talento particolare nel moltiplicare i sesterzi.

Eppure, la vita di Crasso è quella dell’eterno secondo. Sfruttato da Giulio Cesare come una mucca da cui mungere quattrini, surclassato da Pompeo nell’album delle figurine dei generaloni, incapace di godersi le sue immense ricchezze senza menarla tanto, Crasso riesce anche nell’impresa di passare alla storia come sanguinario basta*do e a morire malissimo – e da stupido – a Carre.

Non solo, Crasso finisce per avere sulla coscienza - non da solo, per carità - anche la fine della Repubblica.

Andiamo con ordine. 
Gli inizi di Crasso sono promettenti. Da giovane comandante al soldo di Silla si copre di gloria nella Battaglia di Porta Collina e salva pure la pellaccia al dittatore. Quello, però, non ha occhi che per Pompeo, il “giovane boia” che con la sua cieca violenza conquista le simpatie di tutti. Oh, all’epoca a Roma va così.

Crasso fa spallucce e sfrutta le liste di proscrizione di Silla per fare i big money. Diventa infatti ricchissimo speculando sui beni delle tante vittime delle “purghe” silliane. Il suo patrimonio, stimato da Forbes in 170 miliardi di dollari di oggi, lo rende il romano più ricco della storia. 

Ora, ci sarebbe da riflettere su come tantissimi ricconi della storia si vadano a impelagare cercando la grande impresa politica o militare pensando di trovare l’immortalità. Crasso, in questo, è un precursore di quella iattura nera che abbiamo patito per anni qui da noi (leggi: Berlusca) o di quello svitato col ciuffo che si ritrovano oggi in America. Anziché fare la bella vita sperperando i suoi quattrini, Crasso vuole appagare chissà quale complesso d’inferiorità e la sorte beffarda lo ripaga a dovere.

Lo fa in particolare attraverso due nomi: Pompeo Magno e Giulio Cesare.
Il primo, Crasso se lo ritrova in mezzo alle balle ogni volta. Il secondo, alla lunga, si rivela un invenstimento sbagliato: Crasso gli finanzia la carriera pensando di farne il suo pupazzo, scoprendo troppo tardi che a muovere i fili è proprio il gelido e machiavellico pupillo.

Pompeo, dicevamo.
Crasso diventa console due volte, e tutt’e due le volte si ritrova come collega Pompeo. Quando scoppia la rivolta di Spartaco e nessuno è capace di metterci una pezza, chiamano Crasso. Non che sia particolarmente brillante, ma con un esercito di inaudita potenza ci mette poco a sbaragliare i ribelli – e a farsi odiare dai suoi soldati, a cui impone la disciplina con punizioni feroci – ma la gloria se la prende indovinate chi? Pompeo, che passava di là quasi per caso e che si limita a mettere nel sacco i pochi rivoltosi in fuga.

Crasso, per di più, anche qui passa alla storia non per il trionfo, ma per l’assurda idea di far crocifiggere seimila (!) superstiti sulla via tra Capua e Roma. Immaginate il panorama.

Nonostante i successi e il consolato, Crasso fatica a emergere e passa dieci anni tra ambigui abboccamenti nell’affaire Catilina – da cui esce pulito – e l’idea di coltivarsi Cesare come ariete per prendere il potere. Nel 60, con l’idea del Triumvirato, si ritrova ancora in casa Cesare e Pompeo, con cui si spartisce Roma in stile Banda della Magliana.

Con l’accordo ognuno guadagna qualcosa. Pompeo cerca ammirazione, Cesare il potere e Crasso – grazie a leggi ad hoc – diventa sempre più ricco. Tutti e tre, poi, ottengono il consolato e a Crasso tocca dividerlo nel 55 con uno a caso: Pompeo.

Siamo ai titoli di coda: nel 54 Crasso ottiene il proconsolato in Siria, un’occasione per diventare ancora più ricco. Del resto, ha 60 anni e l’età per la grande impresa, quella che gli manca, è passata. E invece, il nostro si fa ingolosire dall’idea di fare in Siria quello che Cesare sta facendo in Gallia e per di più sconfiggere gli storici nemici di Roma, i Parti, e coprirsi di gloria.

Come andrà a finire lo sappiamo: la Battaglia di Carre è una delle disfatte più atroci di Roma (e vi rimando al post che trovate nei commenti) e Crasso ci lascia le penne assieme al figlio e a migliaia di soldati. L’uomo che aveva tutto per diventare un mito si ritrova il re Orode che gli versa oro fuso – in spregio alla sua avidità – nella bocca, dopo avergli separato la testa dal corpo.

Com’era quella storiella su chi troppo vuole?

[Le storie della Repubblica - 3]
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