venerdì 3 dicembre 2021

LA TRISTE STORIA DI PERPETUA, FEDELE ALL’ AMORE DEL SUO DIO FINO ALLA FINE


Anfiteatro di Cartagine, marzo del 203 d.C.: durante i festeggiamenti del compleanno di Geta, il figlio maggiore dell’imperatore, una giovane donna, Vibia Perpetua, insieme ad altre cinque persone, viene condannata “ad bestias” (vale a dire a essere uccisi straziati dagli animali feroci). Il motivo della condanna era il rifiuto di fare sacrifici all’imperatore: Perpetua e gli altri cinque condannati erano cristiani. 
Nel carcere, in attesa dell’esecuzione, Perpetua scrive un diario. Si tratta di un documento prezioso, per non dire unico. I testi latini di mano femminile sono difatti pochissimi, e nella quasi totalità dei casi non consentono di conoscere pensieri, sentimenti, carattere e scelte di vita di chi li ha scritti. Unica eccezione, le poesie di Sulpicia: vissuta circa due secoli prima, in un altro mondo e in un altro ambiente, e che, come Perpetua, parla di un amore. Nel caso di Sulpicia, per un uomo; nel caso di Perpetua, per il suo dio. Ed è, quello di Perpetua, un amore fortissimo, che la obbliga a scelte molto dolorose, compiute con ferrea, implacabile fermezza. Gli affetti familiari, di fronte a quello per Cristo, non esistono più: invano il padre la prega di piegarsi al potere, per aver salva la vita. Neppure l’amore materno la distoglie dalla sua determinazione: al momento dell’arresto, Perpetua ha da poco partorito un bambino, che teneramente allatta, anche in cella. Mai, per nessuna ragione, rinnegherà l’amore per Cristo. E va verso la morte atroce con una fermezza, una serenità e una dignità che colpisce persino i suoi aguzzini.
Quando la giovane viene introdotta nell’arena, le vengono tolti gli abiti e viene “vestita” soltanto di una rete: l’esposizione del corpo agli sguardi della folla sarebbe stata una pena accessoria per degradarla, additandone pubblicamente l’indegnità. Ma quel giorno di marzo, nell’anfiteatro di Cartagine, la visione del corpo indifeso di Perpetua, con il latte che ancora stillava dal petto, turbò e inorridì gli spettatori al punto da indurre i carnefici a rivestirla. E Perpetua morì fedele al suo grande, unico amore: quello per il suo dio.

Fonte: Eva Cantarella.  Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne nell’antica Roma]
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