domenica 11 giugno 2023

IL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO IN ROMA

IL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO.

Cosa dicono le fonti storiche a riguardo?
Fu distrutto dai barbari? Dai romani, dai papi?
Andiamo con ordine e partiamo dal IV sec. ,quello in cui comincia ad affermarsi come unica religione di stato il cristianesimo.
Benchè si pensi il contrario i templi di Roma, a parte tre, (di cui uno in forse), non vennero danneggiati da chissà quali orde di cristiani.Se dobbiamo dar retta a ciò che scrisse Procopio di Cesarea, e all'elenco redatto da Zaccaria di Mitilene,nel VI sec.in Roma vi erano ancora 423 templi,(ovviamente mostravano i segni del tempo).
Tra questi vi era il maestoso tempio della Triade Capitolina, le cui spoliazioni iniziarono verso la fine del IV sec.ad opera del Magister Militum Stilicone,che in cerca di risorse per finanziare la guerra contro i goti, fece asportare il rivestimento aureo delle porte,(Zosimo,5,38,5).
L'ultima dedica d'oro al tempio risale al 425.
Dopo qualche anno, nel 455 è la volta del saccheggio, da parte dei vandali e degli alani di Genserico,il quale fa asportare metà delle tegole bronzee che ricoprivano il tetto,(Procopio,Bell.van.1,5,3-4).
Infine nel 571d.c. ad opera del generale dell'impero romano d'Oriente, Narsete (Mgh,AA,IX 336,714).
Da tener presente che prima della riconquista di Roma da parte dei romani, la città rimase per ben tre anni senza la popolazione.Totila re dei goti ne scacciò la popolazione residua,che secondo Procopio di Cesarea ammontava a 500 persone. Le altre morte per fame, per le epidemie o scappate verso le campagne o verso Costantinopoli e Ravenna.In quel periodo la città subì diversi danni, tra i quali la distruzione di circa un terzo delle Mura Aureliane.
Dobbiamo ricordare che tra il 1082 e il 1084 il Campidoglio,(l'area dove sorgeva il tempio), fu teatro di scontri tra gli imperiali di Enrico IV e i fedeli del papa. L'imperatore occupò la città e il papa si rifugiò a Castel S.Angelo. La famiglia Corsi fedele al papa si era asseragliata sul Campidoglio e per averne ragione,l'area fu data alle fiamme.
Possiamo ipotizzare che anche il Tempio di Giove, possa aver subito ulteriori danni.
Da notare che durante il periodo della"Cattività Avignonese",abusi sugli antichi edifici vennero fatti senza il benchè minimo controllo.
A conferma di ciò abbiamo la bolla di papa Martino V "Etsi de cunctarum"(1425), nella quale senza mezzi termini definiva sacrileghe le devastazioni di edifici antichi.
Sono noti recuperi di materiali architettonici sin dalla metà del XV sec., ma è tra il 1544 e il 1546,con la costruzione di Palazzo Caffarelli,che prenderà il via la sistematica demolizione delle ultime strutture del tempio e di quanto era rimasto delle decorazioni marmoree. I Caffarelli distrussero anche 14 filari del tempio.
Il tempio era ormai ridotto ad un cumulo di rovine,grazie anche ai forti terremoti che interessarono la città nel corso dei secoli. La popolazione si era ridotta a poche migliaia di abitanti, per cui era venuta a mancare non solo la normale manutenzione,ma anche le maestranze necessarie, e i fondi necessari allo scopo.
La mancanza di metalli e di materiali edili spinsero tutti,dal popolo, ai nobili ed infine ai papi a riciclare tutto il possibile.Si cercò sempre e comunque di utilizzare materiale da quei monumenti che erano completamente in rovina, mentre a volte, per il quieto vivere tra le famiglie nobili e il papa si cercò di chiudere gli occhi.
Dalle fonti sappiamo che alcuni marmi furono impiegati in S.Pietro, alcuni nella cappella Mignanelli, altri andarono a finire nel giardino del Granduca di Toscana,altri in abitazioni private, e verso altre direzioni.
Sul tempio cadde l'oblio,fino a quando, nel IXI sec. scavi sistematici non ridestarono interesse, riportando alla luce frammenti e fondamenta di quello che era considerato uno dei templi più maestosi di Roma.
Ciò che è rimasto del tempio è tutt'ora visibile nei Musei Capitolini.

fonti:
Ammiano Marcellino.
Zosimo.
Procopio di Cesarea.
Poggio Bracciolini.
Flaminio Vacca.
Carlo Fea.
Academia Educational.
www.jstor.org

ANNIBALE IN ITALIA

ANNIBALE IN ITALIA 

La sconfitta brucia. 
Il responsabile principale è il console romano, che prova a giustificarsi a Roma.
In realtà Sempronio Longo è stato sconfitto da un genio militare.
Ma questo ancora non lo sa nessuno. 
Per tutti è ancora e soltanto il generale cartaginese.
Nei 6 mesi successivi però Tutto il nord Italia è definitivamente perso da Roma.
I celti massacrano chi parla latino, saccheggiano ed incendiano le odiate colonie.
Aldila’del Lete, più su della dimensione terrestre, Mario guarda sdegnoso, e attende la rivincita osservando i massacri nella valle padana. 

Ma non può intervenire, deve ancora aspettare. 
“Lo vedranno”, mormora. 
“La pagheranno cara… “ripete.
Più in là un ragazzo biondo, sembra quasi un nipote, sorride di gusto. 
“Che vuoi tu? Moccioso”
Non penserai di fare meglio di Mario?
“No “, risponde sereno il bimbo. 
Io penserò a fare bene solo il mio lavoro. Il lavoro di Giulio….
Ma questi sono discorsi da Campi Elisi.

Intanto i romani si trincerano dentro i castra di Piacenza e Modena. 
Solo i veneti ed i galli cenomani, riforniscono gli alleati chiusi dentro i castella.
La pianura padana si presta a Maarbale, il comandante della cavalleria che lavora di coltello e ferocia. 
Più a sud i nuovi Consoli hanno l’ordine di intercettarlo, unendo le due armate consolari e finalmente piegarlo.

Dunque un bravo generale avrebbe preso la via emilia, saccheggiato le terre di Fiesole, per discendere verso il Valdarno e lì affrontare il primo dei consoli. Questo avrebbe fatto un bravo generale.

Non Annibale. 

Dopo il Trebbia ed il Ticino, lui prima annichilisce il potere romano in nord Italia, poi taglia le strade dalla Cisa, scavalca l’Appennino, trova le antiche strade etrusche, segue la costa a cavallo del Suo elefante Surus e scollina la Cisa. 
Taglia per la piana lucchese, dove malaria e acque stagne accecano lui di un occhio ed uccidono il suo elefante. 
Ma non scoraggiano di un millimetro la sua forza di volontà.
Avanza. Avanza. Avanza.
Intanto tutti gli Etruschi sbarrano le città. Ne’ acqua ne’pane all’invasore.
Ma Annibale non si ferma. 
Razzie ed incendi.  
Ormai ha più di 50.000 uomini, quasi tutti Galli ed ispanici, maramaldeggia sino all’odierna San Miniato, a 50 km da Pisa, poi improvvisamente ruota sulla sua sinistra, segue il fiume Elsa, passa da quella che oggi è località Pinocchio, dove si svolgono le feste dell’unità. 
Evidentemente quella terra continua ad essere disgraziata sin dai tempi dell’orbo feroce.

Ora ordina di marciare velocemente. Deve Impedire alle due armate romane di congiungersi. Incendi e devastazioni l’accompagnano nella grassa terra etrusca.
Alla fine della guerra saranno più di 400 le città italiane bruciate dall’invasore o per rappresaglia dai Romani.
Intanto però si seguono i boschi. I vecchi sentieri. Celati e veloci i punici si mimetizzano nelle selve. 
Lui non piomberà addosso ai romani da nord come si aspettano i crestati.
Questo il console Flaminio non lo sa quando decide di perimetrale il lago Trasimeno per ricongiungersi al collega Gneo Servilio Geminus, sull’Adriatico.
Flaminio Marcia in colonne serrate.
Le trombe e le insegne in testa.
Flaminio non lo sa, Ma sta portando la sua armata all’inferno.