domenica 4 agosto 2024

Battaglia di Canne: il destino delle legioni cannensi

Battaglia di Canne: il destino delle legioni cannensi: I Legionari maledetti sono i sopravvissuti alla Battaglia di Canne. Il riscatto delle legioni cannensi, dal disonore a Zama al comando di Scipione l'Africano.

venerdì 7 giugno 2024

I SIGNIFICATI NASCOSTI DEL CIRCO MASSIMO


Ogni cosa all'interno del Circo Massimo avevano la sua funzione, anche e soprattutto sacrale.

Ad esempio, la curva sud-orientale della pista del Circo Massimo si snodava tra due antichi santuari, vestigia di un tempo arcaico anteriore allo sviluppo formale del celebre Circo.

Sul confine esterno della curva, eretto in onore della dea eponima della valle, sorgeva il santuario di Murcia. Questa divinità, poco nota, si legava alla dea Venere, all'arbusto di mirto, a una sorgente sacra, al ruscello che attraversava la valle e alla cima minore del Colle Aventino. All'interno della stessa curva, un altro santuario, sotterraneo e nascosto, era dedicato a Conso, un dio minore dei depositi di grano, connesso alla dea Cerere e all'oltretomba.

La tradizione narra che Romolo stesso scoprì questo luogo sacro poco dopo la fondazione di Roma, creando la festa dei Consualia per radunare i vicini Sabini. Durante le celebrazioni, che includevano corse di cavalli e abbondanti bevute, gli uomini di Romolo rapirono le donne sabine, dando origine al famoso mito del Ratto delle Sabine.

La larghezza della pista era probabilmente determinata dalla distanza tra i santuari di Murcia e Conso all'estremità sud-orientale, mentre la lunghezza si misurava dalla distanza tra questi due santuari e l'Ara Maxima di Ercole, che si dice fosse più antica della stessa Roma e situata dietro il punto di partenza del Circo.

La posizione del santuario di Conso alla curva della pista richiamava i santuari dedicati a Poseidone negli ippodromi greci. Con il passare del tempo, l'altare di Conso, quale uno degli dei patroni del Circo, fu incorporato nella struttura della curva sud-orientale. Il ruscello di Murcia, parzialmente coperto per formare una barriera divisoria tra i giri di boa, mantenne o ricostruì il suo santuario. Nel tardo periodo imperiale, sia la curva sud-orientale sia il circo stesso erano talvolta noti come Vallis Murcia.

I simboli utilizzati per contare i giri delle corse avevano un significato religioso. Castore e Polluce, nati da un uovo, erano patroni dei cavalli e dei cavalieri. L'uso successivo dei contatori di giri a forma di delfino rafforzava le associazioni tra le corse, la velocità e Nettuno, dio dei terremoti e dei cavalli; i Romani credevano che i delfini fossero le creature più veloci di tutte. Quando i Romani adottarono la Grande Madre frigia come divinità ancestrale, una sua statua a cavallo di un leone fu eretta all'interno del circo, probabilmente sulla barriera divisoria.

I culti del Sole e della Luna erano rappresentati al Circo sin dalle sue prime fasi. Nell'era imperiale, il dio del Sole divenne il patrono divino del Circo e dei suoi giochi. Il suo sacro obelisco torreggiava sull'arena, situato nella barriera centrale, vicino al suo tempio e alla linea del traguardo. Egli era l'ultimo auriga vittorioso, guidando il suo carro a quattro cavalli attraverso il circuito celeste dall'alba al tramonto. La sua compagna Luna guidava il suo carro a due cavalli; insieme rappresentavano il movimento prevedibile e ordinato del cosmo e il circuito del tempo, analoghi alla pista del Circo.

Il tempio di Luna, probabilmente costruito molto prima di quello di Apollo, bruciò nel Grande Incendio del 64 d.C. e non fu mai sostituito. Il suo culto era strettamente identificato con quello di Diana, che sembra essere stata rappresentata nelle processioni che aprivano i giochi del Circo, e con Sol Indiges, solitamente identificato come suo fratello. Dopo la perdita del suo tempio, il suo culto potrebbe essere stato trasferito al tempio di Sol sulla barriera divisoria, o a uno accanto ad esso; entrambi erano aperti al cielo.

FONTI
Roller, Lynn Emrich, In Search of God the Mother: The Cult of Anatolian Cybele, University of California Press
Humphrey, John H. (1986). Roman Circuses: Arenas for Chariot Racing


mercoledì 3 aprile 2024

MARCO LICINIO CRASSO

𝗟𝗘 𝗦𝗧𝗢𝗥𝗜𝗘 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗥𝗘𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗔: 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗺𝘂𝗼𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗥𝗲𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮, 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗖𝗿𝗮𝘀𝘀𝗼

Marco Licinio Crasso è il tipico caso di chi nasce con la camicia. Certo, ai tempi dell’antica Roma si portavano quegli assurdi togoni che nei rigidi inverni dell’epoca là sotto stavi sempre bello fresco, ma ci siamo capiti.

Il padre Publio Licinio Crasso Dive è ricco di suo e pure console nel 97 prima dell’era comune, lui è di bell’aspetto, ci sa fare con le persone, ha successo come militare e un talento particolare nel moltiplicare i sesterzi.

Eppure, la vita di Crasso è quella dell’eterno secondo. Sfruttato da Giulio Cesare come una mucca da cui mungere quattrini, surclassato da Pompeo nell’album delle figurine dei generaloni, incapace di godersi le sue immense ricchezze senza menarla tanto, Crasso riesce anche nell’impresa di passare alla storia come sanguinario basta*do e a morire malissimo – e da stupido – a Carre.

Non solo, Crasso finisce per avere sulla coscienza - non da solo, per carità - anche la fine della Repubblica.

Andiamo con ordine. 
Gli inizi di Crasso sono promettenti. Da giovane comandante al soldo di Silla si copre di gloria nella Battaglia di Porta Collina e salva pure la pellaccia al dittatore. Quello, però, non ha occhi che per Pompeo, il “giovane boia” che con la sua cieca violenza conquista le simpatie di tutti. Oh, all’epoca a Roma va così.

Crasso fa spallucce e sfrutta le liste di proscrizione di Silla per fare i big money. Diventa infatti ricchissimo speculando sui beni delle tante vittime delle “purghe” silliane. Il suo patrimonio, stimato da Forbes in 170 miliardi di dollari di oggi, lo rende il romano più ricco della storia. 

Ora, ci sarebbe da riflettere su come tantissimi ricconi della storia si vadano a impelagare cercando la grande impresa politica o militare pensando di trovare l’immortalità. Crasso, in questo, è un precursore di quella iattura nera che abbiamo patito per anni qui da noi (leggi: Berlusca) o di quello svitato col ciuffo che si ritrovano oggi in America. Anziché fare la bella vita sperperando i suoi quattrini, Crasso vuole appagare chissà quale complesso d’inferiorità e la sorte beffarda lo ripaga a dovere.

Lo fa in particolare attraverso due nomi: Pompeo Magno e Giulio Cesare.
Il primo, Crasso se lo ritrova in mezzo alle balle ogni volta. Il secondo, alla lunga, si rivela un invenstimento sbagliato: Crasso gli finanzia la carriera pensando di farne il suo pupazzo, scoprendo troppo tardi che a muovere i fili è proprio il gelido e machiavellico pupillo.

Pompeo, dicevamo.
Crasso diventa console due volte, e tutt’e due le volte si ritrova come collega Pompeo. Quando scoppia la rivolta di Spartaco e nessuno è capace di metterci una pezza, chiamano Crasso. Non che sia particolarmente brillante, ma con un esercito di inaudita potenza ci mette poco a sbaragliare i ribelli – e a farsi odiare dai suoi soldati, a cui impone la disciplina con punizioni feroci – ma la gloria se la prende indovinate chi? Pompeo, che passava di là quasi per caso e che si limita a mettere nel sacco i pochi rivoltosi in fuga.

Crasso, per di più, anche qui passa alla storia non per il trionfo, ma per l’assurda idea di far crocifiggere seimila (!) superstiti sulla via tra Capua e Roma. Immaginate il panorama.

Nonostante i successi e il consolato, Crasso fatica a emergere e passa dieci anni tra ambigui abboccamenti nell’affaire Catilina – da cui esce pulito – e l’idea di coltivarsi Cesare come ariete per prendere il potere. Nel 60, con l’idea del Triumvirato, si ritrova ancora in casa Cesare e Pompeo, con cui si spartisce Roma in stile Banda della Magliana.

Con l’accordo ognuno guadagna qualcosa. Pompeo cerca ammirazione, Cesare il potere e Crasso – grazie a leggi ad hoc – diventa sempre più ricco. Tutti e tre, poi, ottengono il consolato e a Crasso tocca dividerlo nel 55 con uno a caso: Pompeo.

Siamo ai titoli di coda: nel 54 Crasso ottiene il proconsolato in Siria, un’occasione per diventare ancora più ricco. Del resto, ha 60 anni e l’età per la grande impresa, quella che gli manca, è passata. E invece, il nostro si fa ingolosire dall’idea di fare in Siria quello che Cesare sta facendo in Gallia e per di più sconfiggere gli storici nemici di Roma, i Parti, e coprirsi di gloria.

Come andrà a finire lo sappiamo: la Battaglia di Carre è una delle disfatte più atroci di Roma (e vi rimando al post che trovate nei commenti) e Crasso ci lascia le penne assieme al figlio e a migliaia di soldati. L’uomo che aveva tutto per diventare un mito si ritrova il re Orode che gli versa oro fuso – in spregio alla sua avidità – nella bocca, dopo avergli separato la testa dal corpo.

Com’era quella storiella su chi troppo vuole?

[Le storie della Repubblica - 3]
#StoriaALR

martedì 19 marzo 2024

LA SCONFITTA DEI DRUIDI


Isola di Mona 813 AUC

Roma aveva definitivamente messo piede sull’isola dei Britanni da più di tre lustri ma la definitiva pacificazione di quella nuova provincia era ancora di là da venire.

Varie erano le sacche di resistenza al potere dei figli di Marte, che avevano il loro bel da fare per sedarle.

Un folto gruppo di ribelli si era da tempo rifugiato sull’Isolotto di Mona, la roccaforte del potere druidico, con il chiaro intento di contrastare a oltranza l’avanzata dell’Aquila Romana.

Il neo governatore Svetonio Paolino, succeduto nella reggenza della Britannia a Quinto Veranio Nipote, venne incaricato da Nerone di debellare la Rivolta su quell’isolotto e, nel contempo, far fuori tutti i druidi, i cui sanguinari culti erano mal tollerati da Roma. L’avversione verso il druidismo non era però solo una mera questione religiosa, ma dipendeva anche dal fatto che questi sacerdoti rappresentassero una vera e propria sorta di potere occulto.

Svetonio portò, quindi, il grosso delle truppe che aveva a Mona per affrontare gli insorti e risolvere una volta per tutte il problema dei Druidi.

I britanni provarono a opporsi in ogni modo, anche utilizzando donne invasate da rituali druidici e il potere magico dei druidi stessi, ma alla fine furono completamente annientati dalla forza delle Legioni.

«[Paolino] si preparò ad attaccare l'isola di Mona che aveva una forte popolazione ed era un rifugio per i fuggitivi. Fece costruire navi a fondo piatto per far fronte alle acque basse e alle profondità incerte del mare. Così la fanteria attraversò il fiume, mentre i soldati della cavalleria la seguivano attraversando un guado e nuotando a fianco ai cavalli quando l'acqua era molto profonda. Sulla riva opposta stava l'esercito nemico con il suo vasto numero di guerrieri armati, mentre, fra le file schierate, le donne, in abito nero come le Furie, con i capelli scomposti, agitavano le torce. Attorno, i druidi, alzando le mani al cielo e lanciando imprecazioni terribili, spaventavano i nostri soldati con uno spettacolo sconosciuto così che, come paralizzati, stettero immobili, esposti ai colpi dei nemici. Poi, sollecitati dalle acclamazioni del loro generale e dagli incoraggiamenti reciproci di non scoraggiarsi davanti ad una truppa di donne deliranti, portarono avanti i vessilli, sconfissero ogni resistenza, avvolsero il nemico fra le fiamme delle loro stesse torce. Una forza quindi sottomise i vinti, e i loro sacri boschi, soggetti a superstizioni disumane, furono distrutti. Ritennero veramente un dovere distruggere i loro altari, che erano stati coperti con il sangue dei prigionieri, nel consulto delle proprie divinità, attraverso le viscere umane.»

(Tacito, Annales ) 

L’isola di Mona poteva considerarsi pacificata e sottomessa al potere dell’esercito romano, che però a breve avrebbe dovuto affrontare un pericolo ben più grande: Budicca.

 Roma è la Luce

#AdMaioraVertite 


mercoledì 13 marzo 2024

L' ELMO DI MARCO ANTONIO

Secondo la leggenda, questo elmo era stato regalato a Marco Antonio da Cleopatra nel 34 a.C.

Erano stati necessari i lavori dei migliori artigiani d’Egitto per completarlo e fu proprio un artigiano personale di Cleopatra a forgiarne la base in acciaio ricoprendola poi in oro.

Come vedete pendolo dai lati le ali del Dio Horus, abbellite da incredibili ornamenti.
Il disco nella parte superiore rappresenta Isis all’interno del nido di Hathor.

Nella parte posteriore vediamo raffigurato il dio Amun e due leoni alati che vanno ad adornare i lati, riportanti il volto della stessa Cleopatra.

Il tutto bilanciato da una cresta rossa a simboleggiare Roma.

Quando Marco Antonio tornò ad Alessandria, Cleopatra lo accolse regalandogli questo elmo prima della sua parata per la vittoria tra le vie della città.

Vedendo il generale romano adornato e protetto dai potenti dei egizi, l’approvazione della folla egiziana fu conquistata.

L’elmo era un simbolo dell’unione tra Roma e l’Egitto, i simboli delle civiltà dell’Est e dell’Ovest, che si univano per creare un impero più stabile.

Alla fine della parata, Antonio cedette Cipro, la Libia e la Siria a Cleopatra.
Lei cedette ai tre figli di Antonio dei territori in Armenia, in Media, in Fenicia e in Siria.

Gli egizi erano contenti dell’espansione dei terrori, ma i romani erano preoccupati.
Il festeggiamento in terra straniera e l’utilizzare un elmo “non romano”, era stato interpretato come una volontà di elevare i simboli egizi sopra la Gloria dell’Impero.

Capendo le ragioni di questo sentimento, Antonio mise l’elmo da parte.
Pochi anni dopo, Ottaviano dichiarò guerra a Cleopatra.

Tre anni dopo, le armate navali di Antonio e Cleopatra si scontrarono con quelle di Ottaviano nei mari della Grecia.
Ottaviano continuò la sua campagna contro Antonio per aver messo la regina Cleopatra sopra i suoi doveri verso Roma.

Molti dei suoi generali ed ufficiali si ribellarono.

Nel giorno della battaglia, Antonio non utilizzò l’elmo proprio per evitare che i suoi uomini potessero dubitare della sua lealtà per Roma.
Nonostante la richiesta di Cleopatra di indossarlo.

Questo elmo è un redesign prodotto dalla Custom Prototypes di Toronto e che ha vinto nel 2018 l’International 3D Printing Contest.

https://www.vickyalvearshecter.com/2018/09/13/the-myth-behind-this-extraordinary-helmet/