giovedì 15 maggio 2025

Sarcina

Sopporteresti il peso di un soldato romano? Scopri cosa c'era dentro la leggendaria "sarcina", lo zaino che trasportava l'Impero sulle spalle.

Immagina di marciare per decine di chilometri sotto il sole cocente, indossando un'armatura pesante, uno scudo, una spada... e portando con sé uno zaino che pesava più di 13 chili.

Questa era la vita quotidiana del legionario romano. E questo zaino si chiamava proprio sarcina.

Molto più di un semplice peso, la sarcina era un simbolo di disciplina, resilienza e autonomia dell'esercito più temuto dell'antichità. Ogni soldato veniva addestrato per essere quasi un esercito individuale in movimento.

Ma cosa c'era dentro la Sarcina?

I Romani sapevano che la vittoria iniziava dalla logistica. Quindi ogni legionario portava con sé l'essenziale per accamparsi, nutrirsi, ripararsi e sopravvivere per giorni, tutto sulle spalle.

Guarda cosa portava un soldato romano:

●Dolabra (pala/tegola): usata per scavare trincee e costruire fortificazioni.

 ● Pali di legno (sweats): con essi, erigevano rapidamente recinzioni difensive attorno agli accampamenti.

● Rampa per l'acqua e recipienti di argilla o cuoio per il trasporto dei liquidi.

● Mulino portatile: una macina in pietra per macinare il proprio grano e produrre la propria razione alimentare di base.

● Padella, cucchiaio e coltello in ferro: per cucinare e mangiare in campagna.

● Razioni: solitamente grano crudo, carne secca, formaggio a pasta dura, aceto (mescolato con acqua per purificare) e persino fichi secchi.

● Coperta o telo di lana (sagum): essenziale contro il freddo e la pioggia.

● Tunica di ricambio e oggetti personali, come monete, amuleti o carte.

● Kit per l'igiene e il cucito: perché anche un impero ha bisogno di soldati puliti e tuniche in buone condizioni.

 E tutto questo era legato alla perfezione in una cornice di legno, come una croce, fissata a un bastone chiamato furca, che il soldato appoggiava sulla spalla.

La cosa più impressionante?

Questi uomini camminavano per giorni, trasportando tutto, con la stessa rigidità e ordine con cui dominavano i campi di battaglia.

Erano chiamati, con un pizzico di sarcasmo, "i muli di Mario", in riferimento al generale Caio Mario, che riformò l'esercito romano e impose che ogni soldato fosse responsabile del proprio equipaggiamento. Una mossa semplice, ma che trasformò la legione romana in una spietata macchina da guerra.

La Sarcina non era solo uno zaino. Era un simbolo.

Un promemoria del fatto che la forza di Roma non derivava solo dalle spade, ma dalla capacità di ogni uomo di resistere, marciare e combattere con tutto ciò di cui aveva bisogno sulle spalle.

mercoledì 16 aprile 2025

Un anfiteatro romano diventato cittadina

UN ANFITEATRO ROMANO DIVENTATO CITTÀ 

L'anfiteatro romano di Pollenzo (antica Pollentia), nei pressi di Bra (CN), fu costruito intorno alla fine del I secolo e gli inizi del II secolo d.C. Dopo fasi residenziali e produttive nel V-VI secolo, l'arena fu occupata progressivamente da case rurali che furono costruite definitivamente durante il XVIII e il XIX secolo.
Di forma ellissoidale, era l’edificio in cui, anticamente, si tenevano i combattimenti gladiatori e le cacce di bestie feroci e, forse, anche naumachie.

Come a Lucca e a Venafro (vicino ad Isernia), l’antico edificio romano, una volta abbandonato in età tardoantica, è stato riutilizzato come base per la costruzione di edifici più recenti, come detto probabilmente del ‘700, che hanno seguito l’andamento ellittico delle strutture dell’anfiteatro. Per questa ragione, il borgo che nacque sopra l’antico anfiteatro di Pollenzo è chiamato nelle fonti Coliseum o Colosseo ed è, tuttora, abitato.

La cavea (le tribune), che all’esterno si presentava scandita in alcuni ordini di arcate, era sostenuta da terrapieni e l’arena, di cui si sa pochissimo, era stata scavata nel terreno. All’interno le tribune erano suddivise in quattro anelli, delimitati da robusti muri.

Le decorazioni, che dovevano essere abbondanti, sono andate perse: come per il caso del tempio romano di Alba, eventuale tappa dei tours di Alba Sotterranea, anche qui siamo alle prese con un edificio anticamente sontuoso ma che, nel tempo, è stato privato delle decorazioni che, nei primi secoli della nostra era, dovevano sicuramente adornarlo.

giovedì 20 marzo 2025

ELMO ROMANO DI PIZZIGHETTONE

L'ELMO ROMANO DI PIZZIGHETTONE.

Si tratta di un'elmo modello Montefortino conservato nel Museo di Cremona,che presenta una particolarità molto interessante:vi è inciso il nome del proprietario.
L'iscrizione è la seguente:

M(arco) Patolcio Ar.l.p.VIII

Dalla forma delle lettere si è dedotto che l'elmo potesse esser stato fabbricato nel III sec.a.C.
La seconda parte dell'iscrizione potrebbe essere interpretata nel seguente modo:

Ar(untis) l(iberto) p(ondo) (octo)

Quindi abbiamo a che fare con liberto,cioè uno schiavo liberato,di origine campana-etrusca.
Dopo la disfatta di Canne vennero arruolati 8000 schiavi(l'equivalente di due legioni).
Stando alle fonti,non presero schiavi qualunque,ma solo quelli che si offrirono volontari,ossia"volones".

Fonte:
Filippo Coarelli.
Pubblicazione per la scuola Francese di Roma.

martedì 11 marzo 2025

Perché gli antichi romani portavano tre nomi

PERCHE' GLI ANTICHI ROMANI AVEVANO TRE NOMI?

Per addentrarsi nelle profondità della storia romana, è essenziale comprendere uno degli aspetti più caratteristici e rivelatori della società dell'Urbe: il complesso sistema onomastico dei tria nomina.

Questo elaborato meccanismo non era una semplice convenzione linguistica, ma un vero e proprio codice d'identità che rivelava origini, posizione sociale e lignaggio familiare di ogni civis romanus.

L'uomo romano portava con sé, inciso nel proprio nome, il peso della tradizione ancestrale, la gloria della propria gens e il destino del proprio ramo familiare, in un intreccio di significati che andava ben oltre la mera identificazione personale.

L'EVOLUZIONE DEL NOME ROMANO

Nei tempi primordiali, quando l'ombra del Palatino vedeva nascere il primo nucleo di quella che sarebbe diventata la più grande civiltà del mondo antico, i romani si accontentavano di un singolo nome. Romolo, il mitico fondatore, portava fieramente un nome unico che lo distingueva tra i suoi contemporanei. 

Questa semplicità onomastica rifletteva una società ancora in formazione, dove l'identità collettiva prevaleva su quella individuale, e i legami tribali non necessitavano di complesse distinzioni nominali.

Con l'espansione dell'influenza romana e le inevitabili contaminazioni culturali, in particolare quella derivante dall'inclusione delle genti sabine, il sistema onomastico subì una prima, fondamentale trasformazione. Da uninominale divenne binomiale, basato su praenomen e nomen, rispecchiando così l'accresciuta complessità sociale e l'importanza delle alleanze familiari. 

Questo passaggio rappresentò il primo passo verso la creazione di quello che sarebbe diventato il glorioso sistema dei tria nomina, pietra angolare dell'identità romana per secoli a venire.

Fu infine durante gli ultimi secoli della Repubblica, quando Roma estendeva i propri confini ben oltre ogni aspettativa umana, che il sistema onomastico raggiunse la sua forma definitiva e magnifica. I tre elementi – praenomen, nomen e cognomen – divennero il marchio distintivo della cittadinanza romana, simbolo tangibile dell'appartenenza al popolo dominatore del Mediterraneo. Non più semplici appellativi, ma veri e propri vessilli d'identità che proclamavano al mondo intero la gloria di appartenere alla stirpe romana.

ANATOMIA DI UN NOME ROMANO

Il primo elemento, il praenomen, rappresentava ciò che oggi chiameremmo nome di battesimo. Veniva conferito al bambino poco dopo la nascita e costituiva l'appellativo con cui lo si chiamava negli ambienti più intimi e familiari. 

A differenza dei nostri tempi, in cui la varietà dei nomi personali è pressoché infinita, i praenomina romani erano sorprendentemente limitati nel numero. I patrizi, in particolare, facevano uso di appena una trentina di prenomi che si ripetevano con regolarità all'interno della stessa famiglia. 

Questa apparente limitazione nascondeva in realtà un profondo significato: il prenome non era tanto un segno di individualità, quanto piuttosto un anello nella catena generazionale che legava il presente al passato glorioso della stirpe.

Tale era la familiarità con questi prenomi che negli scritti essi venivano generalmente abbreviati all'iniziale. Marcus diventava semplicemente M., Gaius si riduceva a C., Publius a P., in una sintesi che tutti i romani comprendevano immediatamente. Il praenomen, quindi, pur essendo il nome più personale, era paradossalmente anche quello meno distintivo, poiché rimandava più alla continuità familiare che all'unicità dell'individuo.

Il secondo pilastro, il nomen gentilicium, costituiva l'elemento più importante nella definizione dell'identità sociale. Espresso con un aggettivo terminante in -ius, il nomen indicava l'appartenenza alla gens, l'unità fondamentale della società romana che comprendeva tutte le famiglie che si riconoscevano in un antenato comune. 

Era l'equivalente del nostro cognome, ma carico di un significato molto più profondo: proclamava l'appartenenza a uno dei grandi clan familiari di Roma, come i Cornelii, i Iulii, i Claudii o i Domitii, nomi che risuonavano nei fori e nelle curie con l'eco della storia.

Portare il nome di una gens patriciae significava vantare un'ascendenza che risaliva alle origini stesse di Roma, una discendenza diretta da quegli uomini che avevano plasmato la storia della città sin dai suoi albori. Era un marchio di nobiltà che apriva le porte del potere politico e confermava l'appartenenza all'élite dominante.

Il terzo elemento, il cognomen, inizialmente facoltativo, divenne con il passare del tempo un componente essenziale del sistema onomastico romano. Se il nomen identificava la gens, il cognomen distingueva le diverse famiglie all'interno dello stesso clan gentilizio. Spesso originato come soprannome basato su caratteristiche fisiche, morali o geografiche, si trasformò gradualmente in un appellativo ereditario che indicava uno specifico ramo familiare.

Prendiamo ad esempio il celeberrimo Gaio Giulio Cesare: Gaio era il suo praenomen personale, Giulio il nomen che lo identificava come membro della gens Iulia, mentre Cesare era il cognomen che specificava a quale ramo della famiglia appartenesse. 

Tre nomi, dunque, che raccontavano in modo sintetico ed eloquente l'intera storia di un individuo, collocandolo precisamente nell'intricata rete di relazioni familiari e sociali che costituiva l'ossatura della società romana.

martedì 12 novembre 2024

12 novembre - "Festa di Giove" e "Ludi Plebii"

pridie Idus Novembre (giorno prima delle idi di novembre)
12 novembre - "Festa di Giove" e "Ludi Plebii"
1) Questa festa di tre giorni onorava Giove per i Romani e Zeus per i Greci. Giove era un dio amichevole, per lo più felice, da Giove deriva la nostra parola gioviale. Giove nacque da Crono (Saturno) e Rea (Ops) e usurpò il trono quando suo padre si dimostrò un sovrano inadatto.
Come padre degli dei e degli uomini, Giove arbitrava le dispute divine, aiutava gli uomini nel governo giusto, governava le quattro stagioni e osservava con interesse paterno le azioni degli uomini. Zeus fu adorato per la prima volta nell'Epiro in Grecia, dove la sua voce si udiva provenire da una quercia gigante. I suoi sacerdoti erano chiamati Helli e aiutavano i supplicanti che si recavano al santuario in cerca di consigli o favori da Zeus.
Questo giorno dà inizio alle celebrazioni per le dee dell'Abbondanza, della Fortuna e della Pietà che culminano domani alle Idi. Le festività di questo e dei due giorni successivi includevano banchetti, giochi, musica, canti, balli per le strade e bevute di vino.
2) Questo è il nono giorno dei Ludi Plebii
Questo è uno dei dies comitiales in cui i comitati di cittadini potevano votare su questioni politiche o criminali.

domenica 10 novembre 2024

UN AGRICOLA CARSULANO

UN AGRICOLA CARSULANO

Nel municipio di Carsulae facciamo oggi conoscenza con Gaio Tifano Agricola, di cui ci sono pervenute ben 4 iscrizioni corrispondenti a 4 basi onorarie (dunque, gli avevano dedicato 4 statue!!). Vediamo qui la prima:

Abenti(:Habenti). 
C(aio) Tifano Agricolae, 
aedil(i), IIIIviro(:quattuorviro), 
populus Cars(ulanorum) ex ae=
re conlato; cuius <dedicatione>
dedit dec(urionibus) cenam et 
sportul(as), popul(o) clust(rum)(:crustulum) et
mulsum et ((denarios)) V seviris,
iuvenib(us) colleg(iatis?), ((denarium)) I mulie= 
ribus, matron(is) et libertin(is) aere s(uo). 
L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).

Al possessore (di cavallo pubblico) = cavaliere
Caio Tifano Agricola,
edile, quattuorviro,
(dedica) il popolo dei Carsulani
che ha raccolto i fondi; alla sua dedica
offrì una cena e donativi ai decurioni,
al popolo biscotti e 
vino, 5 denari a testa ai seviri (Augustali)
(e) ai giovani del collegio, un denario alle don=
ne, alle matrone e ai liberti, di tasca sua. 
Spazio assegnato per decreto dei decurioni. 

Questa base di statua è la prima delle tre che si trovano presso una cisterna ora impiegata come deposito; le loro epigrafi sono parzialmente leggibili per i muschi e licheni che le hanno aggredite, ma fortunatamente sono state trascritte e studiate. 

Alcune curiosità: 
- I cavalieri venivano designati come “possessore” (habens), lasciando sottinteso il cavallo pubblico posseduto.
- le magistrature locali dei municipi ricalcavano in parte quelle di Roma; il nostro personaggio era edile, nonché “quattuorviro”: questa carica di governo della città in età flavia sostituì la precedente carica dei “duoviri”, attestata nella prima parte del I secolo.
- i decurioni costituivano il senato locale; si nota che esistevano dei collegi (sacerdotale quello dei seviri Augustali, e inoltre quello dei giovani) 
- la “grafica” dell’iscrizione è molto particolare e meriterebbe uno studio approfondito: vi sono lettere di dimensioni differenti e soluzioni grafiche originali, frutto di una certa creatività ed eleganza, nonché la sigla di “denario”, una X con trattino.

Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=100060080378952