martedì 29 dicembre 2020

Spade (III): la Spatha

Spade (III): la Spatha: La spatha soppiantò progressivamente il gladio come arma bianca d'elezione del soldato romano. Fu proprio dalla spatha che si sviluppò la spada medievale.

sabato 14 novembre 2020

LA VILLA IN TUSCIS DI PLINIO IL GIOVANE


Libro V, epist. 6.

Caio Plinio al suo Domizio Apollinare, salve

Ti sono grato per la tua premura. Avendo saputo che mi sarei recato nella mia villa di Toscana per trascorrervi l’estate, mi hai infatti sconsigliato di andarvi, giacché ritieni il luogo insalubre. È vero che quel lembo del territorio dei Tusci che si stende lungo il litorale è poco salutare e pieno di miasmi, ma devi sapere che le mie terre sono discoste dal mare, situate ai piedi degli Appennini, le montagne più salubri che si conoscano. E affinché tu metta da parte ogni apprensione nei miei riguardi, ti descriverò la natura del clima, la conformazione del territorio, le amenità della villa. Sono sicuro, infatti, che sapere queste cose ti farà piacere, così come sarà per me un piacere dartene contezza.
Il clima d’inverno è freddo fino a gelare: ricusa i mirti, gli olivi e tutti gli alberi che necessitano di un ininterrotto tepore; tollera invece abbastanza l’alloro, che in genere fa crescere rigoglioso, giacché, se a volte rinsecchisce, è cosa che non accade più spesso che nei pressi di Roma. L’estate è di una meravigliosa mitezza, l’aria è sempre mossa dallo spirare di qualche corrente, ma sono più frequenti le brezze che non i venti. Vedi molti vecchi, e puoi incontrare nonni e bisnonni di giovani già maturi; ti è perciò possibile ascoltare vecchie storie e fatti risalenti ai nostri antenati, sì che quando arrivi colà, ti sembra di vivere nel secolo passato.
L’aspetto della regione è piacevolissimo, immagina: un anfiteatro immenso, quale soltanto la natura può creare. Una vasta e aperta pianura cinta dai monti; questi ricoperti fin sulla cima di antiche e maestose foreste, dove la cacciagione è varia e abbondante. Lungo le pendici delle montagne i boschi cedui digradano dolcemernte fra colli ubertosi e ricchissimi di humus, i quali possono gareggiare in fertilità coi campi posti in pianura (non è infatti facile trovarvi della roccia nemmeno a cercarla); le loro messi sono abbondanti, forse un po’ più tardive, ma non per questo meno pregiate. In basso l’aspetto del paesaggio è reso più uniforme dai vasti vigneti che da ogni lato orlano le colline, e i cui limiti, perdendosi in lontananza, lasciano intravedere graziosi boschetti. Poi prati ovunque, e campi che solo dei buoi molto robusti con i loro solidissimi aratri riescono a spezzare; quel tenacissimo terreno, al primo fenderlo, si solleva infatti in così grosse zolle che solo dopo nove arature si riesce completamente a domarlo. I prati, pingui e ricchi di fiori, producono trifoglio e altre erbe sempre molli e tenere, come se fossero appena spuntate, giacché tutti i campi sono irrorati da ruscelli perenni. Eppure, benché vi sia abbondanza d’acqua, non vi sono paludi, e questo perché la terra in pendio scarica nel Tevere l’acqua che ha ricevuto e non assorbito. Quel fiume, le cui acque irrorano i campi, essendo navigabile, trasporta verso l’Urbe i prodotti di queste terre, almeno durante l’inverno e la primavera. Col sopraggiungere dell’estate il livello delle acque cala, e col farsi l’alveo quasi asciutto, il corso perde il titolo di gran fiume che gli spetta, riprendendolo poi in autunno. Credimi, proveresti un gran piacere se ti ponessi ad ammirare il panorama dall’alto dei poggi; ti parrebbe infatti di osservare non già un incantevole angolo di mondo, ma un quadro dipinto con incredibile maestria: tanto vario è il paesaggio e così felice la disposizione dei luoghi che i tuoi occhi trarrebbero diletto ovunque si posassero.
La villa è situata alla base di un colle, e gode della stessa vista che se fosse in cima. Il terreno si innalza dolcemente, con una pendenza quasi impercettibile, tanto che mentre ti sembra di non essere affatto salito, già ti trovi sulla parte più alta. Alle spalle è l’Appennino, che puoi scorgere in lontananza, da cui, anche nei giorni più limpidi e tranquilli, spirano i venti; questi non sono mai impetuosi, e nemmeno poi così freddi, giacché la stessa distanza da cui soffiano li mitiga e addolcisce. L’edificio guarda in prevalenza a mezzodì, e a partire dalla sesta ora d’estate, un po’ più tardi d’inverno, sembra invitare il sole attraverso l’ampio portico che sul davanti si protende a solatio. Molte stanze vi prospettano, e anche un atrio sul gusto antico.
Davanti al portico è una terrazza attraversata da siepi di bosso; più in basso ce n’è una dove invece il bosso è intagliato a formare figure di belve che si fronteggiano; ancora più giù si stende l’acanto, così ondeggiante che nell’insieme quasi lo si direbbe fluido. Gira tutto intorno un vialetto chiuso da arbusti mantenuti bassi e tagliati in forme diverse; da questo si allunga un viale per le carrozze che forma una specie di pista attorniata da bossi dalle più svariate fogge e da arboscelli tenuti bassi ad arte. Tutto questo è infine protetto da un muro: un bosso sistemato a gradini lo ricopre interamente e lo cela. Oltre questo, un prato di aspetto non meno ammirevole delle suddette siepi curate con arte; infine i campi, ancora prati, e molti boschetti.
In capo al portico si apre un triclinio. Dalla sua porta a due battenti si può scorgere l’ultima terrazza, l’adiacente prateria e gran parte della campagna circostante; dalle finestre si domina di qua sia un lato dell’antistante terrazza che l’altra porzione sporgente della facciata, di là invece il bosco e i prati del vicino ippodromo. Di fronte al porticato, rivolto verso il suo centro, ma in posizione più arretrata, si trova un appartamento che racchiude un cortiletto ombreggiato da quattro platani. Una gran quantità d’acqua scaturisce da una fontana marmorea, i cui zampilli, rompendosi in lievi spruzzi, formano una delicata pioggerellina che, ricadendo tutt’intorno, innaffia i circostanti platani e tutto ciò che vi si trova sottoposto. In questo apparetamento vi è una camera da riposo che non lascia entrare né la luce né gli schiamazzi, né altri rumori, e presso la camera un tinello dove ogni giorno si può cenare con persone di confidenza. Da un lato di questo si scorge quel cortiletto cui ho accennato, dall’altro il portico e tutto quel che vi sta oltre. C’è anche un’altra camera che riceve ombra e frescura da un vicino platano; le pareti di questa sono ornate di splendidi marmi nella parte inferiore, mentre in quella superiore gareggia con i marmi un magnifico affresco raffigurante dei rami con degli uccelli che vi si posano sopra. In essa vi è una piccola fontana, sotto la fontana un bacino, e tutt’intorno parecchi canaletti che creano un piacevolissimo mormorio.
All’estremità opposta del portico una grande camera da letto fa riscontro alla sala da pranzo; da alcune finestre si scorge l’ampia terrazza antistante, da altre il prato preceduto dalla piscina. Questa è situata proprio sotto le finestre, ed è piacevole sia alla vista che all’udito: l’acqua, infatti, cadendo dall’alto, scroscia e spumeggia sul marmo che la raccoglie. Anche questa camera è inondata da molto sole, ed è perciò tiepidissima d’inverno. È comunque anche collegata all’ipocausto sotterraneo, così che se il tempo è freddo e nemboso, quello provvede a riscaldarla inviandovi il suo vapore. Segue l’apoditerio del bagno, spazioso e gaio, quindi la sala del frigidarium, nella quale è una grande vasca colma d’acqua fredda. Se poi vuoi nuotare comodamente e in acqua più tiepida, vi è nella corte una piscina, e lì presso un pozzo che ti permette di rinfrescarti nuovamente, se ne hai abbastanza del calore. Dalle sale del frigidarium, generosamente illuminate, si passa poi a quelle del calidarium, più soleggiate, perché protese a solatio. Ivi sono tre vasche a livello del pavimento, due esposte ai raggi diretti del sole, la terza raggiunta solo dai raggi più obliqui, ma non per questo meno illuminata. All’apoditerio è sovrapposto lo sferisterio, che consente molte specie di esercizi e a molte squadre di giocatori. Non lungi dal bagno una scalinata conduce al criptoportico, ma prima devi passare per tre appartamenti. Di essi uno guarda quel cortiletto dai quattro platani, uno la prateria e l’altro le vigne, avendo quest’ultimo per visuale gli opposti punti cardinali.
All’estremità del criptoportico, e da questo ricavata, è una camera da letto che guarda il maneggio, le vigne e i monti. Vi è annessa un’altra camera da letto con un’ottima esposizione al sole, soprattutto d’inverno. Ha poi da qui inizio un altro appartamento che congiunge la villa all’ippodromo.
Questo, in breve, l’aspetto e l’impiego della parte frontale della villa.
Lateralmente, il criptoportico conduce agli appartamenti estivi, in posizione un po’ più elevata, da cui più che dominare i vigneti, addirittura sembra di poterli toccare. Al centro è una grande sala da pranzo che riceve dalle pendici dell’Appennino un’aria saluberrima. Dietro essa guarda dalle sue ampie finestre le vigne, e la stessa vista si presenta, attraverso il criptoportico, da tutte le porte, sì che sembra da queste poter a quelle direttamente accedere.
Sul lato senza finestre della sala da pranzo si trova una scala da cui nascostamente provengono le vivande da servire nei banchetti. Alla fine il criptoportico conduce a una camera da cui si gode di una vista non meno bella su di esso che sui vigneti. Sottostante è un’altra galleria simile a un sotterraneo; d’estate l’atmosfera è resa particolarmente gradevole dal fresco che vi rimane imprigionato, e poiché non sono richiamate né lasciate entrare correnti, la temperatura è qui sempre costante. Dietro queste due gallerie, là dove finisce il triclinio, ha inizio un porticato dove d’inverno è piacevole trattenersi fino a mezzogiorno, d’estate anche fin oltre il tramonto. Di là si arriva a due appartamenti, di cui uno di quattro e l’altro di tre camere, le quali, secondo il volgere del sole, godono ora di molta luce, ora invece dell’ombra.
Il maneggio supera in bellezza qualsiasi altra parte della villa, ciascuna già di per sé amenissima. Situato in posizione centrale, si dispiega subito agli occhi di chi vi entra. I bei platani che lo circondano sono tutti rivestiti di edera, così che se in alto essi verdeggiano per le loro fronde, lo stesso è pure in basso per quelle che non sono le loro, ma di cui pure si arricchiscono come delle proprie. L’edera serpeggia lungo il tronco e i rami e, passando da un platano all’altro, li unisce tutti in un unico insieme. Di mezzo a essi spunta il bosso; più esternamente il bosso è cinto dal lauro, la cui ombra si confonde con quella dei platani. Il tracciato prima rettilineo dell’ippodromo si incurva a semicerchio nell’ultimo tratto, dove muta anche l’aspetto: qui, infatti, molti cipressi coronano e proteggono il tracciato immergendolo in un’ombra più densa e opaca, mentre le piste concentriche interne (ve ne sono parecchie) ricevono una luce purissima. Nella frescura e nell’ombra, qua e là inframezzata da piacevoli sprazzi di sole, crescono bellissime rose. Dopo molte e varie curve, ridiventando rettilineo, il tragitto dell’ippodromo si fa segmentato: i lunghi filari di bosso vengono allora regolarmente interrotti da parecchie piste trasversali. Fra queste si trova qui ora una piccola aiuola, là lo stesso bosso potato in mille fogge, spesso a guisa di lettere che a volte dicono il nome del padrone di casa, a volte quello del giardiniere; vi si alternano delle basse colonne a forma di cono o degli alberi da frutta, così che fra tanta raffinatezza cittadina, vi è come portato d’incato l’aspetto della campagna. Il modesto spazio al centro è da ogni parte ornato da più piccoli platani messi a dimora. Dietro questi gira da una parte e dall’altra il flessuoso acanto, e poi ancora varie figure e nomi.
In capo all’ippodromo, sotto un pergolato sostenuto da quattro colonnine di marmo caristio, si trova una panca semicircolare di marmo bianco. Da questa, quasi come spremuta dal peso di chi vi si corica, l’acqua sprizza da alcuni canaletti in una pietra incavata, venendo poi raccolta da un grazioso bacino di marmo che, per un raffinato sistema di regolamentazione, rimane colmo senza straripare. I vassoi per gli antipasti e le portate più pesanti vengono poggiati sui bordi, mentre le altre vivande galleggiano su vassoi a forma di navicelle o di uccelli dall’uno all’altro commensale. Dirimpetto una fontana fa zampillare l’acqua che da un’altra parte si riprende, giacché, lanciata in alto, questa ricade su se stessa finendo in un sistema di canali che la inghiottono e la risospingono. Una piccola camera posta di contro al sedile conferisce a quest’angolo tanta grazia quanta ne riceve. Essa, tutta splendente di marmi, domina dalle sue porte il verde, che quasi sembra volervi di prepotenza entrare; e ancora verzura dall’alto come dal basso, dalle sue finestre superiori come dalle inferiori. All’interno un’alcova forma con la camera ora una cosa sola, ora invece due ambienti separati. Quivi è un letto, e da ogni parte finestre, ma la luce è temperata dall’ombra circostante: come se non bastasse, infatti, una rigogliosissima vite s’inerpica lungo la facciata fino a raggiungere il tetto. Quivi ti par di giacere non già nella tua casa, ma in un bosco, con l’unica differenza che se piove non rischi di bagnarti. Anche qui è una sorgente che si mantiene a livello del pavimento, la cui acqua così come sgorga è ingurgitata.
Disposti qua e là per il maneggio, dei sedili di marmo tornano graditi non meno della stessa camera a coloro che il passeggiare ha stancato. Presso i sedili delle fontanelle, sì che per tutto l’ippodromo mormorano ruscelletti artificiali, docili alla mano che vi si immerge: essi irrorano ora l’una ora l’altra aiuola, e a volte tutte ad un tempo.
Se non mi fossi proposto di percorrere con te, in questa lettera, ogni angolo della mia proprietà, avrei già da un pezzo evitato di apparirti troppo chiacchierone. Non ho infatti avuto il minimo timore che potesse sembrarti noioso alla lettura ciò che di certo non lo sarebbe stato alla vista, soprattutto perché ho pensato che avresti sempre potuto riposarti e interrompere la lettura quando ti sarebbe piaciuto. Ho infatti supposto che tu potessi far questo proprio come quando a un certo punto ci si siede durante una visita.
Confesso, comunque, d’essermi lasciato un po’ trasportare dalla mia inclinazione: amo infatti tutte le cose che t’ho descritto, le quali ho in gran parte io stesso iniziate, e se non iniziate, condotte a termine con gran passione. Insomma (e perché mai non dovrei essere sincero e dirti come la penso, anche a rischio di commettere un errore?), io ritengo che il primo dovere di uno scrittore sia non solo quello di scegliere il tema, ma di porsi parimenti molte domande una volta che abbia iniziato a scrivere, avendo sempre presente che non sarà prolisso se rimarrà nel tema, mentre lo sarà molto se qualcosa lo trarrà sovente fuori traccia, facendolo divagare. Vedi con quanti versi Omero e con quanti Virgilio descrivano l’uno le armi di Achille, l’altro quelle di Enea; eppure entrambi sono brevi, non prolissi, perché sono mirabilmente riusciti a rendere ciò che avevano in animo e che si erano proposti di dire. Vedi come Arato ricerchi ed enumeri anche le più piccole stelle; pure egli mantiene la misura: infatti, ciò che in lui può sembrare digressione, altro non è che il soggetto stesso dell’opera. Parimenti io, «se il poco al molto si può paragonare», quando ho cercato di porre dinanzi agli occhi tuoi l’intera mia villa, se pure a volte deve esserti sembrato che mi sia dilungato su cose estranee e che abbia rischiato di uscire fuor di strada, ciò, stanne pur certo, non è stato perché più ampia ti apparisse la lettera, bensì perché davvero vasta è la villa.
Cionondimeno ritorno al punto da cui cominciai per non essere condannato dalla stessa legge da me menzionata con l’attardarmi troppo nella digressione. Ora conosci il motivo perché io preferisca la mia villa di Toscana a quelle di Tuscolo, Tivoli e Preneste. Infatti, oltre a tutte le ragioni citate, la possibilità di riposo è ivi maggiore, più completa, e senza noie; non è inoltre necessario indossare la toga e non c’è nessun seccatore nelle vicinanze; tutto è calma e pace. A ciò, naturalmente, si aggiungono la salubrità della regione, la serenità del cielo, e l’aria, più pura che altrove. Là sto bene di spirito e di corpo, giacché lo spirito esercito con lo studio, il corpo con la caccia. Anche la mia gente vi sta meglio in salute che in qualunque altro posto; anzi posso perfino dire (e chiedo venia se lo dico!) che fino a oggi nessuno di coloro che condussi colà ho perduto. Che gli dèi conservino per l’avvenire a me questa soddisfazione, al luogo una tal fama. Saluti.

Plinio il Giovane

(Città di Castello, Valtiberina, PG)

giovedì 12 novembre 2020

IL TEMPIO DELLA DEA FORTUNA DONATO DA PLINIO IL GIOVANE A TIFERNUM TIBERINUM


..Mi fermerò un giorno a Tiferno poi ti raggiungerò..

..Ea quae de vobis nuntiabantur magnum gaudium nobis attulerunt, praesertim quod cupis post longum tempus neptem tuam meque una videre. Invicem nos incredibili quodam desiderio vestri tenemur, quod non ultra differemus; atque ideo iam sarcinulas alligamus festinaturi, quantum itineris ratio permiserit. Erit una sed brevis mora: deflectemus in Tuscos, non ut oculis subiciamus agros, sed ut fungamur necessario officio. Oppidum est praediis nostris vicinum, cui Tifemum Tiberinum nomen est quod oppidum, omnibus consentientibus, me paene adhuc puerum dignum existimavit qui suus patronus essem. Qua re adventus meos celebrat, profectionibus angitur, honoribus meis gaudet. Et, quoniam sum qui vinci in amore turpissimum esse iudicem, ut gratiam referrem templum pecunia mea exstruxi, cuius dedicationem differre longius irreligiosum est. Erimus ergo ibi dedicationis die, quem epulo celebrare constitui. Postridie, amicis salutatis, rursus itineri nos committemus,viamque ipsam corripiemus. Contingat modo te filiamque tuam fortes invenire! Vale.

Le tue nuove ci hanno riempito di grande gioia, soprattutto perchè desideri, dopo tanto tempo, rivederci, tua nipote e me. Anche noi, dal canto nostro, nutriamo un incredibile, e improrogabile, desiderio di rivederti. Ma già prepariamo i bagagli per la partenza, con l’intenzione di sbrigarci, strade permettendo. Faremo un’unica sosta, ma breve: devieremo alla volta della villa di Toscana, ma non per ispezionare i campi, bensì per ottemperare ad un necessario impegno. C’è una cittadina, chiamata Tiferno Tiberino, adiacente alle nostre proprietà, la qual cittadina, all’unanimità, mi stimò degno – ed ero quasi ancora fanciullo – d’essere suo patrono. Per la qual cosa, (la cittadinanza) accoglie in festa i miei arrivi, si duole per le mie partenze, s’inorgoglisce per i miei successi. Ora, poichè sono uno che ritiene molto sgarbato esser vinto in quanto ad affetto, ho fatto costruire, a mie spese, un tempio, a mo’ di ringraziamento, tempio la cui inaugurazione sarebbe empio differire ancora. Ci troveremo dunque lì per il giorno dell’inaugurazione, che ho deciso di celebrare con un banchetto. Il giorno seguente, dopo aver salutato gli amici, ci rimetteremo in viaggio lungo il precedente itinerario. Mi auguro di trovare te e tua figlia in buona salute! Stammi bene..

Plinio il Giovane all'amico Fabato



lunedì 9 novembre 2020

MASSIMINO IL TRACE


 Gaio Giulio Vero Massimino

MASSIMINO detto il  TRACE     


Alto più di due metri, con una enorme potenza fisica, era in grado di trainare un carro a forza delle sole braccia, di abbattere un cavallo con un solo pugno e di frantumare i massi a mani nude. Si dice fosse figlio di un contadino goto, tale Micca, e di Hababa una donna della tribù degli Alani (Erodiano che lo definisce Per natura barbaro nel costume come nella stirpe). 


Fu il primo imperatore ad essere eletto per volontà dell'esercito avendo in precedenza percorso tutta la carriera militare da soldato semplice a generale ed il secondo Imperatore di rango equestre venti anni circa dopo la nomina ad Augusto del prefetto del pretorio Opellio Macrino (217-218).


Gaio Giulio Vero, passato alla storia come Massimino il Trace, nacque in una zona imprecisata non lontana dal Danubio probabilmente fra il 172 d.C. e il 185 d.C.

Nato probabilmente da una famiglia di rango equestre fu il primo esponente di una serie di imperatori-soldati di stirpe illirico-balcanica che cercò con la forza delle armi di difendere l'Impero dalle sempre più frequenti invasioni barbariche.

Entrato nell'esercito come un semplice soldato, Massimino emerge dai ranghi in ragione della sua forza e della sua ferocia che in breve divennero leggendarie fra i suoi compagni.

Le notizie che riguardano Massimino sono confuse e la brevità del suo regno, tre soli anni tutti passati sul campo di battaglia, non gli hanno consentito, come spesso accade a molti potenti, di costruirsi a posteriori un passato glorioso. In vita egli fu fiero avversario della classe senatoria e proprio da storici appartenenti a questa classe vennero poi raccontati gli eventi che lo riguardano, tutti tramandatici in maniera tale da mettere il Trace sotto una luce negativa di rozzo barbaro contrapposto al suo predecessore, l'illuminato, almeno per la classe senatoria, Alessandro Severo.


Da sempre fedele alla dinastia dei Severi, Massimino, che ancora adolescente era stato notato da Settimio Severo il quale ne aveva incoraggiato e poi premiato la carriera militare, conosce un periodo infelice solo sotto l'impero di Eliogabalo.

Una volta salito al potere il tredicenne Alessandro Severo, Massimino viene riportato in primo piano nei ranghi dell'esercito tanto è vero che nel 232 ha il comando di una legione in Egitto e l'anno successivo diventa governatore della provincia di Mesopotamia.

Nel 235 d.C. troviamo Massimino all'apice della sua carriera militare come generale di Alessandro Severo a Magonza per domare una rivolta di popolazioni germaniche lungo il confine del Reno. A lui l'imperatore affida il comando delle reclute. Può apparire un comando minore ma è proprio Alessandro Severo a smentirlo e a definire la stima che ha di Massimino come soldato. Dice l'imperatore :


Massimino carissimo, il comando dei veterani, perché ho temuto che tu non potessi ormai più correggere i loro vizi... hai nelle tue mani delle reclute: fa loro apprendere la vita militare secondo il modello dei tuoi costumi, del tuo valore, del tuo impegno, perché tu abbia a procurarmi molti Massimini, così necessari per il bene dello Stato..


 Questa è la fiducia che Alessandro ripone in Massimino, fiducia che solo pochi mesi dopo viene ripagata con l'uccisione dello stesso Severo da parte di quelle reclute guidate e istruite, forse plagiate, dallo stesso Massimino.

Al di là della storiografia, tutta contraria al Trace che lo dipinge come un rozzo barbaro quasi privo di sentimenti, viene spontaneo chiedersi come mai questi accetti senza alcuna remora la nomina ad imperatore e il tradimento nei confronti di colui che era pur sempre il suo comandante... Alessandro Severo è un debole. Salito al regno appena adolescente ha sempre gestito il potere in modo formale delegando gli affari di stato alla madre invadente Giulia Mamea e alla nonna, la volitiva Giulia Mesa. Con Alessandro il potere viene gestito di fatto anche dall'oligarchia senatoria che impone al principe un comitato di patres guidati dal prefetto del pretorio, il famoso giurista fenicio Domizio Ulpiano, che deve indicare ad Alessandro Severo la politica da seguire.

Massimino, invece, è un militare ed odia il Senato e la politica. Non c'è dubbio alcuno che, nonostante la sua fedeltà all'imperatore, Massimino non si sia dato pena di nascondere con i suoi soldati il disprezzo che provava. Il capo dell'esercito, l'imperatore sottoposto a ventisette anni ancora all'autorità della madre: inconcepibile! In questa atmosfera di disprezzo per Alessandro Severo devono essere state allevate le reclute fedeli solo al loro generale. Ed è per questo che, dopo l'ennesima vittoria ottenuta sotto la sua guida, proprio queste reclute proclamano Massimino imperatore.

Il campo di Alessandro Severo dista appena un miglio dall'accampamento di Massimino. Le reclute del Trace si gettano sull'imperatore che non ottiene protezione neppure dalle legioni orientali partiche che gli erano fedeli fino a pochi giorni prima. Severo fugge nella tenda della madre Giulia Mesa e fra le lacrime la rimprovera per la sua ambizione definendola come nuova Messalina. Entrambi scappano con pochi fedeli. La loro fuga è però breve, perché ben presto vengono raggiunti e trucidati.

Il Senato è colto di sorpresa e non può far altro che ratificare la volontà delle legioni.


http://soldatiromanideltardoimpero.blogspot.com/2017/06/legionario-200-ad-epoca-di-settimio.html?


La prima preoccupazione del generale è la guerra contro i Germani. Fra i suoi obiettivi c'è una guerra ad oltranza che sola avrebbe dovuto definire una volta per tutte la questione dei confini con le tribù germaniche. Proprio mentre era occupato in una operazione bellica al di là del Reno, scoppia la prima rivolta degli uomini fedeli ad Alessandro. Massimino, ritornato precipitosamente sulla sponda romana del Reno, soffoca nel sangue la ribellione.

Dopo poche settimane è la volta della ribellione del corpo degli arcieri di Osroene (Mesopotamia), anch'essi fedeli del vecchio augusto. I legionari ribelli eleggono imperatore un vecchio amico di Alessandro Severo, un tale Quartino. Il suo regno dura pochi giorni è lo stesso capo degli arcieri, un tale Macedonio, che, mutato parere, uccide Quartino portandone poi la testa spiccata dal busto a Massimino, il quale scandalizzato, gli riserva la stessa fine.

L'origine chiaramente senatoria di questi complotti convince l'imperatore a sostituire gli ufficiali di rango senatorio con soldati di carriera a lui fedeli. Finalmente sicuro di quanto stava accadendo dietro le sue spalle, Massimino varca nuovamente il Reno attraversando il ponte costruito dallo stesso Severo nei pressi di Magonza. Le legioni avanzavano bruciando e distruggendo villaggi, uccidendo tanto gli uomini quanto le donne e i bambini. Più volte affrontato dalle orde germaniche, spesso in situazioni di chiaro svantaggio tattico per la relativa conoscenza del territorio pieno di foreste e di paludi, Massimino le sconfigge facendo rifulgere in più di un'occasione la sua abilità militare e il suo coraggio. Che differenza dal suo predecessore doveva essere per i soldati vedere il loro comandante combattere a cavallo davanti a loro, guidando più volte lui stesso furiose cariche di cavalleria! Nonostante le perdite la campagna si conclude con un chiaro successo che consente a Massimino di fregiarsi del titolo di "Germanico". I Senatori che gli avevano conferito questo onore avrebbero forse preteso che Massimino si recasse a Roma per onorarli ma, in modo politicamente improvvido, Massimino non vi si recò mai preferendo a queste formalità il rimanere sul campo di battaglia, dove riteneva essere più necessaria la sua opera.


Dopo avere trascorso l'inverno del 235 e del 236 nel centro strategico di Sirmium "il Trace" si rimette all'opera per ricacciare dietro i confini del Limes le tribù ribelli del Danubio. La campagna è lunga e anche qui, secondo il suo stile, sanguinosa, ma si conclude con un nuovo successo che consente a Massimino di fregiarsi anche dei titoli di "Sarmatico" e "Dacico". Tanta abilità militare non gli vale comunque la stima del Senato che anzi, appena può, cerca di rinfocolare le ambizioni degli avversari di Massimino. Questa volta è il turno del proconsole d'Africa Marco Antonio Gordiano, ricco latifondista, che rischiava di vedersi confiscate le terre vicino a Cartagine come già era accaduto ad altri suoi pari senatori nella stessa Roma. La politica fiscale estremamente dura fu uno dei punti deboli del governo dell'imperatore. Con la scusa delle spese di guerra sempre più onerose da sostenere Massimino aumentò le tasse in particolar modo ai più ricchi esponenti dell'oligarchia senatoria. In effetti non si può dire che avesse tutti i torti, visto che le casse dell'erario erano praticamente vuote e le guerre non davano certo i bottini che erano usuali quando Cesare conquistò la Gallia o Pompeo l'Egitto. Le tribù Germaniche erano più ricche di ferocia che d'oro. Non si può neppure dire che Massimino usasse in abbondanza dei soldi spremuti ai Senatori per ingraziarsi l'esercito con cospicui donativi. Anzi, proprio la sua rigida disciplina nei confronti di coloro che l'avevano eletto imperatore, sarà una delle cause della sua rovina.

Con un esiguo esercito, Gordiano e il figlio Gordiano Minore dapprima conquistano Cartagine, praticamente indifesa, ma devono poi soccombere al ritorno dei soldati numidi, fedeli a Massimino, guidati da Cappeliano, governatore della stessa Cartagine. Gordiano Minore, rimasto a difesa della città con pochi uomini, si batte valorosamente ma è infine sopraffatto ed ucciso . Saputo della morte del figlio, anche Gordiano si toglie la vita. Il suo titolo era durato meno di un mese.

La nomina di Gordiano ad imperatore viene abilmente manovrata dal partito senatorio a Roma che diffonde la voce della morte di Massimino. "Il Trace" è però vivo e vegeto in Pannonia e venuto a conoscenza dell'accaduto, dopo avere informato del da farsi il suo fidato luogotenente Cappeliano in Africa, si dirige a marce forzate verso l'Italia e Roma.

In mancanza del nuovo imperatore Gordiano, il Senato provvede a nominare due suoi esponenti, Marco Pupieno e Balbino, come vicari. La carica, in realtà un ibrido fra il consolato e l'impero, è frutto di una estenuante riunione dei patres per cercare di fronteggiare il pericolo incombente.


http://soldatiromanideltardoimpero.blogspot.com/2017/07/pretoriano-230-ad-epoca-di-alessandro.html?m=1


Massimino, nel frattempo valicate le Alpi, entra in Italia senza trovare resistenze ma anche senza trovare cibo per sfamare i suoi uomini. Giunto davanti ad Aquileia, fedele al Senato, chiede che la città gli apra le porte ma i battenti restano chiusi. L'assedio sembra protrarsi e piano piano la mancanza di vettovaglie e le forti perdite alimentano sempre più il malcontento fra le sue truppe.

Siamo nel giugno del 238. In un caldo pomeriggio estivo alcuni legionari della seconda legione partica facenti parte dell'esercito del Trace penetrano nella tenda uccidendo l'imperatore ed il figlio, che era stato associato al potere con la carica di principe della gioventù. La notizia giunge rapida, insieme alle teste dei due, a Marco Pupieno che si affretta a raggiungere Aquileia per premiare con una consistente somma di denaro le truppe.

Finisce così come era iniziata, dopo soli tre anni di regno, l'avventura di Massimino, il primo soldato semplice a

diventare imperatore della grande Roma.







venerdì 18 settembre 2020

domenica 26 luglio 2020

UmbriaIN - Il post Gli scavi archeologici di Colle Plinio

UmbriaIN - Il post Gli scavi archeologici di Colle Plinio: Nei pressi di San Giustino (10 km a nord di Città di Castello), esattamente a Colle Plinio, sono state rinvenute numerose vestigia di antiche ville romane, dove sembra che lo stesso Plinio il Giovane (da cui ne deriva il nome) soggiornò a lungo. Costui (Caius Plinius  Caecilus Secundus), infatti, fu un importante avvocato e scrittore, nonché magistrato romano.

domenica 19 luglio 2020

venerdì 3 luglio 2020

Il Foro, nucleo della città romana

Il Foro, nucleo della città romana: Il foro, dal latino forum, era il centro civile delle città romane. In età più antica era destinato ai mercati e sorgeva lungo le principali vie di

Il modello cittadino in epoca romana

Il modello cittadino in epoca romana: Città romane. I Romani diffusero la vita urbana in territori dove mai essa era apparsa e vollero che le città, in ogni angolo dell’impero, avessero alcune

mercoledì 24 giugno 2020

Le guerre macedoniche (214-148 a.C.)

Le guerre macedoniche (214-148 a.C.): Nel bosco di Poseidone, presso la città di Corinto, si svolgevano ogni due anni i «giochi istmici», competizioni sportive ed artistiche che appassionavano

domenica 31 maggio 2020

The Face of Pompeii Woman "Bella Donna" (Artistic Reconstruction)

Pompeii and the House of Sallust - 3D Reconstruction

La Pompei mai vista nei depositi del Museo Archeologico di Napoli

LA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO

Pompei Antica (Pompeii Documentary)- Live History

Pompei Then and now

I segreti di Pompei - Archeologia

A Day in Pompeii - Full-length animation

iFILMATI: Pompei

POMPEI - Scavi e Villa dei Misteri - HD

Vecchia Roma

Policromia della Colonna Traiana

Rilievi della Colonna Traiana - Parte 3

Rilievi della Colonna Traiana - Parte 2

Rilievi della Colonna Traiana - Parte 1

Historia Ludorum con Spartaco Albertarelli - Ep. 1

Il sistema di colonie e municipi romani

Il sistema di colonie e municipi romani: Già gli antichi se lo domandavano, e gli storici continuano a interrogarsi: quale combinazione di fattori permise a una semplice città-stato di conquistare

Le campagne di Cesare in Gallia

Le campagne di Cesare in Gallia: All'inizio del 58 a.C., Giulio Cesare lasciava Roma per raggiungere due delle province di cui aveva ottenuto il governo proconsolare.

La Battaglia di Filippi (42 a.C.)

Le strade romane: percorsi di civiltà

Le strade romane: percorsi di civiltà: Una delle più grandi opere costruite dagli antichi romani fu, senza dubbio, l’imponente rete di comunicazione che attraversava tutto l’impero: le strade.

La flotta da guerra romana e le navi di supporto

La flotta da guerra romana e le navi di supporto: e anteriormente, in modo di

venerdì 29 maggio 2020

Il modello cittadino in epoca romana

Il modello cittadino in epoca romana: Città romane. I Romani diffusero la vita urbana in territori dove mai essa era apparsa e vollero che le città, in ogni angolo dell’impero, avessero alcune

23 ottobre 42 a.C. – Seconda battaglia di Filippi

23 ottobre 42 a.C. – Seconda battaglia di Filippi: 23 ottobre 42 a.C. – Guerra civile romana: secondo scontro nell'ambito della Battaglia di Filippi – L'esercito di Bruto viene definitivamente sconfitto dall

lunedì 6 aprile 2020

Teatro romano di Amman in Giordania


Teatro Romano - Amman, Giordania
Un teatro romano del II secolo da 6.000 posti. Un famoso punto di riferimento nella capitale giordana, risale al periodo romano quando la città era conosciuta come Filadelfia. Alcune parti sono state recentemente restaurate.

La custode del sacro fuoco: vesta


𝗟𝗔 𝗖𝗨𝗦𝗧𝗢𝗗𝗘 𝗗𝗘𝗟 𝗦𝗔𝗖𝗥𝗢 𝗙𝗨𝗢𝗖𝗢: 𝗩𝗘𝗦𝗧𝗔

Dea dell'antichissimo culto del focolare domestico, la cui dimensione privata venne soppiantata dalla devozione ai Lari e ai Penati, mentre la dimensione pubblica rimase pressoché inalterata fino alla fine del IV secolo d.C.
Le sacerdotesse erano le Vestali, venivano scelte da bambine tra le figlie delle più importanti famiglie patrizie, e dovevano rimanere in servizio, a guardia del Fuoco Sacro presso il tempio per trent'anni. Dovevano restare vergini, però da adulte, una volta terminato il servizio potevano sposarsi, cosa che però accadeva piuttosto raramente.




lunedì 30 marzo 2020

Mausoleo di Santa Costanza

Mausoleo di Santa Costanza: Il Mausoleo di Costantina, meglio conosciuto come Mausoleo di Santa Costanza, è un capolavoro dell'architettura tardo-antica, situato a Roma presso l'area