giovedì 23 giugno 2022

Gaio Duillio il primo romano che vinse sul mare

Gaio Duillio 
il primo romano che vinse sul mare
fu un politico e militare della Repubblica romana, ricoprendo un ruolo decisivo e di grande rilievo, nell’arco della prima guerra punica, dalla quale i romani uscirono vincitori.Sulle origini di Gaio Duillio e sull’inizio della sua carriera politica si sa ben poco, certamente era un “homo novus”, e cioè non faceva parte della tradizionale aristocrazia romana. Allo scoppio della prima guerra punica, nel 260 a.C., venne eletto console, ma peccando forse d’ingenuità, affidò il comando della flotta navale al suo collega, Gneo Scipione Asina, che, del tutto impreparato ad affrontare un conflitto sul mare, venne sconfitto e catturato dopo lo scontro che avvenne al largo delle isole Lipari. Gaio Duillio rimase così il solo a reggere il peso della guerra. Consapevole che la superiorità romana si sviluppava maggiormente sulla terra ferma, il console romano non si perse d’animo e fece costruire una nuova imponente flotta costituita da 120 navi, ciascuna delle quali armata con un ponte mobile dotato di uncini, chiamato “Corvo”, allo scopo di abbordare saldamente i vascelli nemici, cosi da trasformare una battaglia navale in uno scontro corpo a corpo,il corvo. In pratica il corvo era una passerella che fissata alla nave nemica per mezzo di grossi uncini, permetteva ai soldati romani di passare da una nave all’altra senza pericolose evoluzioni, e di combattere corpo a corpo, come meglio sapevano fare. Durante la battaglia di Milazzo, il nuovo armamento approntato da Gaio Duillio ebbe il successo sperato, le navi puniche non furono più in grado di manovrare, e i soldati romani si riversarono sui ponti delle navi nemiche, combattendo come se fossero sulla terra ferma, persa la loro superiorità marittima, i cartaginesi vennero sconfitti e Roma comparve per la prima volta, come nuova super potenza del mar Mediterraneo. Gaio Duillio venne onorato con il trionfo e con l’innalzamento di una colonna nel Fòro romano, costruita con i rostri delle navi nemiche catturate. Nel 258 a.C., Gaio Duillio venne eletto censore.
La colonna rostrata, detta anche colonna Duillia, era collocata nel fòro romano, si trovava accanto ai rostra imperiali. La base della colonna venne restaurata ai tempi di Augusto riportando esattamente la dedica in essa scolpita. Andata perduta nei secoli, il basamento della colonna venne ritrovato solo nel XVI secolo, nella sua collocazione originale, nei pressi dell’Arco di Settimio Severo, ed oggi è conservata nel Museo Nuovo Capitolino.
L’iscrizione della Colonna:
“EODEM MAGistratud bene rEM NAVEBOS MARID CONSOL
PRIMOS ceset copiasque Clasesque NAVALES---PRIMOS ORNAVET PAravetque---CVUMVE EIS NAVEBOS CLASEIS POENICAS OMNIs
item maxVMAS COPIAS CARTACINIENSIS---PRAESENTEd hanibaled DICTATORED OLorOM---INALTOD MARID PVCnandod vicet
VIQVE NAVEis cepeT CVM SOCEIS SEPTEResmon I,---quinqueresmOSQVE TRIRESMOSQVE NAVEIS Xxx---merset XIII aurOM CAPTOM: NVMEI MMMDC--ARCENTOM CAPTOM PRAEDA NVMEI….oimne CAPTOM AES…---primos quoQVE NAVALED PRAEDAD POPLOM donavet---primosque CARTACINIEnsIS inceNVOS---Duxit in Triumphod EIS CAPT.
Questa era la parte principale di una dedica più ampia che riportava quanto segue:
“da console, primo fra i romani, si illustrò con le navi in mare; egli fu il primo ad armare ed addestrare equipaggi e flotte di navi combattenti; e con queste sconfisse in una battaglia nell’alto mare le flotte puniche e parimenti le più possenti truppe dei Cartaginesi, in presenza di Annibale, il loro comandante in capo. E con la forza egli catturò le seguenti navi con i rispettivi equipaggi: una settereme, 30 quinqueremi e triremi, mentre 13 ne affondò. Oro catturato: più di 3600 monete…..E fu anche il primo a donare al popolo una preda navale, nonchè il primo a condurre in trionfo dei cittadini Cartaginesi catturati”.

Storia romana: le Guerre Puniche - FocusJunior.it

Storia romana: le Guerre Puniche - FocusJunior.it: Date, protagonisti e momenti salienti dello storico scontro tra Roma e Cartagine: ecco tutto il necessario per una ricerca sulle Guerre Puniche.

domenica 19 giugno 2022

PROTETTORE DELL' IMPERATORE

Anatolia: trovato per la prima volta un sarcofago col titolo di “Protettore dell’Imperatore”.

Provincia di Kocaeli, Turchia occidentale: è stato rinvenuto un sarcofago appartenuto ad un soldato che porta il titolo di “Protettore dell’Imperatore”, si tratta di un caso del tutto eccezionale, dal momento che mai prima di questo momento in Anatolia era stato trovato un sarcofago riportante tale indicazione.

Il sarcofago rientra nel gruppo delle 37 tombe identificate tra il 2017 e il 2019 in occasione degli scavi di salvataggio operati dalla Direzione del Museo Kocaeli in una zona dove era in progetto la costruzione di un edificio. E proprio con gli studi scientifici operati dal Professore Associato Hüseyin Sami Öztürk dell’Università di Marmara si ha avuto la conferma dell’identità di tale soldato, ovvero Tziampo, la guardia del corpo di Diocleziano.

In particolare, poi, sul sarcofago è possibile leggere la dedica di Tziampo: “Ho vissuto 50 anni. Non permetto che nessuno tranne mio figlio Severo o mia moglie sia sepolto in questa tomba. Ho servito nell’esercito per nove anni come cavaliere, undici anni come ordinario e dieci anni come protettore. Se qualcuno oserà seppellire un altro in questa tomba, pagherà 20 follis a Fisco e 10 alle casse della città”.
Serkan Geduk, il Direttore del Museo Kocaeli, ha dichiarato che il sarcofago è di grande importanza non solo per le informazioni contenute nell’iscrizione ma anche per i due scheletri e i piccoli reperti rinvenuti in situ, infatti per la prima volta si ha un’iscrizione di una guardia del corpo imperiale insieme a due scheletri nel sarcofago e doni funerari. Il Sarcofago di Tziampo è quindi il primo al mondo in questo campo.

Ma chi è più precisamente Tziampo? Il Dott. Geduk riferisce che si tratta di un uomo di origine rumena, che ha svolto il consueto cursus honorum militare, fino a diventare “Protettore dell’Imperatore”, carica istituita dall’imperatore Gallieno nel III sec d.C. “Il numero dei soldati finora conosciuti e impegnati in questo compito è soltanto di sette persone. Questi provengono dall’attuale Italia, Croazia, Serbia, Algeria e Arabia. Con Tziampo questo numero sale ad otto” ha affermato il Dott. Geduk.

Si tratta quindi di una importantissima scoperta, sia per ampliare le informazioni sulla figura del “Protettore dell’Imperatore”, sia per la storia romana in Anatolia.

credits: https://mediterraneoantico.it/

martedì 14 giugno 2022

IL POPOLO DELLA MONTAGNA CONTRO LA LUPA: DE BELLO APUANO (193-180 a.C.)


Roma conosceva bene la ferocia delle genti montane dei Liguri, un coacervo di potenti tribù (più o meno celtizzate ma dalla cultura vivida e unica) che controllava grosso modo l'attuale Piemonte, la Liguria, parte dell'Occitania e le cui scorrerie e transumanze arrivavano fino a Pisa, in Etruria. Durante la II Guerra Punica i Romani avevano tastato con mano la forza di questi agili e robusti guerrieri, il cui contributo era stato imprescindibile per le vittorie di Annibale.

Una volta scacciato lo spettro della conquista punica, la Repubblica estese il proprio potere fino a Portus Lunae, mentre la stessa Genua (già alleata durante la guerra punica) era un emporio sicuro per i commerci romani.
La confederazione dei Liguri Apuani, nucleo principale delle popolazioni liguri meridionali, ormai stretta tra le montagne della Val di Magra, della valle del Serchio e 
dell’Appennino orientale, scorgeva in queste operazioni una minaccia per la propria indipendenza. 

Nel 193 a.C. [Liv. XXXIV,56,1] circa 20.000 
Apuani calarono sulla piana di Luna, 10.000 si mossero verso Piacenza e davanti a Pisa si schierarono addirittura 40.000 guerrieri. 
La città resistette grazie al valoroso contributo del console Quinto Termo, tuttavia nessuno ebbe il coraggio di affrontare in campo aperto un tale assembramento di forze.
Costretto ad assistere alla distruzione dell'agro da parte dei montanari, il console rischiò pure di essere ucciso dai liguri, salvato a stento da alcuni cavalleggeri numidi.

Ma le armate dei Liguri erano instabili: formate da clan pastorali, la leadership era spesso traballante e, dopo più di un anno di saccheggio e andirivieni, è probabile che numerosi guerrieri presero a tornare alle proprie case. Fu proprio in questa (probabile) situazione che il console sbaragliò parte dell'esercito ligure, infliggendo ben 9000 perdite tra i guerrieri di montagna.
Entrati in territorio Apuano, i romani distrussero numerosi castellieri e villaggi, senza però fiaccare realmente le forze dei liguri.
Un attacco improvviso nel 191 a.C. inflisse considerevoli perdite tra i romani, che riuscirono con grandi difficoltà a respingere l'avanzata nemica. Minucio tornò a Roma con un nulla di fatto: Pisa era salva, eppure gli Apuani controllavano la linea costiera dell'Etruria del nord, appoggiati dai cugini Friniates.

I due anni successivi videro Roma sotto scacco, causa le continue scorrerie dei Liguri, nonchè l'ennesimo nulla di fatto del console Messala (188 a.C.). Conscia della gravità della situazione, la Repubblica schierò entrambi gli eserciti consolari: Flaminio guidò il proprio lungo le valli appenniniche dell'Arno, sbarrando la strada ai saccheggiatori Friniates carichi del bottino strappato all'agro Pisano. Dopo aver sbaragliato i Friniates, Flaminio sconfisse anche gli Apuani, di ritorno da Bologna.
L'altra armata, sotto il comando di Marco Emilio, penetrò nella valle del Serchio così da costringere gli Apuani a ritirarsi sui picchi più alti, forse nella rocca di Suismontium (si segnala anche una probabile vittoria campale contro gli stessi). Apparve dunque alla Repubblica che la guerra fosse ormai vinta, tanto da dare finalmente inizio ai lavori per la via Emilia. Ma i Liguri erano un popolo testardo e fiero, difficilmente piegabile.

Infatti, volendo disarmare gli irriducibili Apuani, il console Quinto Marco Filippo, alla guida di 8000 fanti (3000 romani e 5000 alleati) e 350 cavalieri avanzò nella Val Magra. Qui, forse a causa dell'imprudenza dei romani, gli Apuani sorpresero le truppe romane e le sbaragliarono dopo averle circondate.
Rimasero sul campo ben 4.000 uomini e tra le mani degli Apuani 3 insegne legionarie e 11 
insegne degli alleati. Una vera e propria Teutoburgo italica...

La situazione peggiorava rapidamente, anche perchè le vie di comunicazione per Marsiglia e l’Iberia erano insicure via mare per via degli Ingauni e degli Intemelii, Liguri siti sulla Riviera di Ponente, sia via terra per i continui attacchi (ora rinnovati) degli Apuani. Lo stesso pretore Bebio venne ucciso insieme alla sua scorta nei pressi di Marsiglia. Le spedizioni del 185 a.C. furono un altro buco dell'acquae e solo nel 182 a.C. Lucio Emilio Paolo riuscì a respingere i Viturii e i Sabates che minacciavano Genua.

Avanzato fino ai confini del dominio Ingauno, Lucio Emilio Paolo fu assediato nel proprio campo dai Liguri, che respinsero i romani fin dietro le palizzate. In difficoltà, il console chiese aiuto alla flotta pisana, ma, con una fortunata sortita, riuscì a sconfiggere gli Ingauni prima dell'arrivo dei rinforzi. In soli tre giorni Album Ingaunum (Albenga) si arrese, essendo anche la flotta Ingauna sconfitta dal Duumviro Caio Matieno. Placati gli Ingauni, che ricevettero un trattamento di favore salvo la distruzione delle mura cittadine, i Romani focalizzarono le proprie attenzioni sugli Apuani.

Quattro nuove legioni affiancate da alleati di varie genti (forse anche liguri) per un totale di 35.800 uomini si prepararono all'attacco finale. Guidato da due proconsoli, prima dell'elezione formale dei consoli, l'esercito prese di sorpresa gli Apuani, convinti che l'attacco sarebbe arrivato proprio sotto il comando dei Consoli.
Consultato il Senato, si decise allora di deportare 40.000 capifamiglia con mogli e figli nel Sannio, vicino a Benevento. In loco abiteranno per secoli, ancora chiamati Baebiani e Corneliani dal nome dei proconsoli che li avevano sconfitti.

I Friniati vennero invece sottomessi da Aulo Postumio dopo due scontri sul monte Ballista e a Suismontium, a cui seguì la resa. La guerra era dunque conclusa: grazie ai continui rastrellamenti (altri 20.000 Apuani vennero deportati) sopravvissero solo poche migliaia di Apuani indipendenti, celati in alcune valli isolate, fino alla completa sconfitta nel 155 a.C. per mano di Marco Claudio Marcello.

Tuttavia le tribolazioni e i conflitti con il popolo della montagna non sarebbero ancora finite. 
Parleremo infatti di altre guerre e di come le tribù dei "Capillati" avrebbero resistito al potere di Roma fino al 14 a.C. 

FONTI
Lanfranco Sanna, Ars Militaris;
Tito Livio, Ab Urbe Condita;
R. Del Ponte I Liguri, Etnogenesi di un popolo;
B.M. Giannattasio, I Liguri e la Liguria, Storia e archeologia di un territorio prima della conquista romana; 
John Patterson, Sanniti, Liguri e Romani;


venerdì 3 giugno 2022

TITO MANLIO "TORQUATUS"

Durante la guerra gallica del 361 a.C., della cui conduzione era stato incaricato il dittatore Tito Quinzio Penno Capitolino, un guerriero celta sfida i Romani e invita il soldato romano più forte a sfidarlo in duello. Mentre gli altri giovani sono paralizzati dalla paura, Tito Manlio lascia il proprio posto, si presenta davanti al dittatore e gli chiede il permesso per combattere contro il Gallo. 

[Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 9, 8-10]
«Allora un Gallo di statura gigantesca avanzò sul ponte deserto e urlò con quanta voce aveva in gola: "Si faccia avanti a combattere il guerriero più forte che c’è adesso a Roma, così che l’esito del nostro duello stabilisca quale dei due popoli è superiore in guerra!".
Tra i giovani romani ci fu un lungo silenzio, poiché da un lato si vergognavano di rifiutare il combattimento, dall’altro non volevano affrontare una sorte particolarmente rischiosa: allora Tito Manlio, figlio di Lucio, lasciò la sua posizione e si avviò dal dittatore: "Senza un tuo ordine, comandante", disse "non combatterei mai fuori dai ranghi, neppure se vedessi certa la vittoria: ma se tu lo permetti, a quella bestiaccia che ora fa tanto lo spavaldo davanti alle insegne nemiche io vorrei dare la prova di discendere da quella stirpe che precipitò già dalla rupe Tarpea le schiere dei Galli". 
Allora il dittatore gli rispose: "Onore e gloria al tuo coraggio e alla tua devozione per il padre e la patria, o Tito Manlio! Vai e con l’aiuto degli dei dai prova che il nome di Roma è invincibile!". 
Poi i compagni lo aiutarono ad armarsi: egli prese uno scudo da fante e si cinse in vita con una spada ispanica, più adatta per lo sconto corpo a corpo. Dopo averlo armato, lo accompagnarono verso il guerriero gallico che stava stolidamente esultando e che in segno di scherno tirava fuori la lingua. Quindi rientrarono al loro posto, mentre i due uomini armati restarono soli in mezzo al ponte, più come si usa negli spettacoli che secondo le norme di guerra, pari di forze a giudicarli dall’aspetto esteriore: l’uno aveva un fisico di straordinaria corporatura, sgargiante nelle vesti variopinte e per le armi dipinte e cesellate in oro; l’altro nella statura media di un soldato e d’aspetto modesto le sue armi, più maneggevoli che appariscenti; non canti, non esultanza né vana esibizione delle proprie armi, ma un petto fremente di palpiti di coraggio e tacita ira; tutta la sua fierezza egli aveva riservata per il momento decisivo del duello. 
Quand’ebbero preso posizione tra i due eserciti, con tanti uomini intorno, dagli animi sospesi tra la speranza e la paura, il Gallo, calò con grande fragore sulle armi dell’avversario che si avvicinava un fendente che andò a vuoto. Il Romano, sollevata la spada, colpì con il proprio scudo la parte inferiore di quello del nemico; poi, insinuatosi tra il corpo e le armi di quest’ultimo in modo tale da evitare di essere ferito, con due colpi sferrati uno dopo l’altro gli trapassò il ventre e l’inguine, facendolo stramazzare a terra, disteso in tutta la sua mole. Quindi, risparmiando ogni altro scempio al corpo del caduto, si limitò a togliergli il torque, e a indossarlo al collo intriso di sangue com’era. La paura insieme con lo stupore aveva agghiacciato il sangue ai Galli: i Romani, usciti dagli avamposti verso il loro commilitone, rivolgendogli congratulazioni e lodi, lo condussero dal dittatore. 
Fra le rozze battute che i soldati si scambiavano nei loro cori, fu udito il soprannome di "Torquatus"; esso, in seguito, fu usato spesso anche dai suoi discendenti e tornò d’onore alla sua famiglia. Il dittatore aggiunse in dono una corona d’oro e di fronte alle truppe adunate celebrò con le lodi più alte quel combattimento.»