domenica 17 dicembre 2023

ANFITEATRO FLAVIO

L'Anfiteatro Flavio (Colosseo) 

È un anfiteatro dell'epoca dell'Impero Romano, costruito nel I secolo. Si trova a est del Foro Romano ed è stato il più grande di quelli costruiti nell'Impero Romano. originariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio (Amphitheatrum Flavium) viene chiamato Colosseo (Colosseum) perché accanto a lui c'era una grande statua, il Colosso di Nerone, un monumento dedicato all'imperatore Nerone che successivamente ha subito trasformazioni e è scomparso.

I materiali utilizzati per la costruzione di questo sono blocchi di travertino, cemento, legno, mattoni, pietra (tofo), marmo e stucco.

Nell'antichità avevo una capacità per circa 65 000 spettatori, con 80 file di gradinate. Coloro che erano vicini all'arena erano l'Imperatore, la sua famiglia e i senatori, e man mano che si ascendeva si situavano gli strati inferiori della società. Al Colosseo si svolgevano lotte tra gladiatori e spettacoli pubblici. È stato costruito proprio ad est del Foro Romano, e i lavori sono iniziati tra 70 d. C. e 72 d. C. , sotto il comando dell'imperatore Vespasiano. L'anfiteatro, che era il più grande mai costruito nell'Impero Romano, è stato completato in 80 d. C. dall'imperatore Tito, ed è stato modificato durante il regno di Domiziano.
La sua inaugurazione è durata 100 giorni, tutto il popolo romano ha partecipato e moribondo alla sua celebrazione decine di gladiatori e bestie sacrificati per il piacere e lo spettacolo del popolo.

Il Colosseo è stato utilizzato per quasi cinque secoli, celebrando gli ultimi giochi della storia nel secolo vidi, molto più tardi della tradizionale data della caduta dell'impero romano d'Occidente nel 476 d. C. Anche i bizantini l'hanno usato durante il secolo vidi. Oltre ai combattimenti tra gladiatori, molti altri spettacoli pubblici si svolgevano qui, come naumachia, caccia agli animali, esecuzioni, ricreazioni di famose battaglie e opere teatrali basate sulla mitologia classica. 

domenica 29 ottobre 2023

MONETA DEL COLOSSEO ANFITEATRO FLAVIO

La più antica immagine del Colosseo in un Sesterzio emesso dall'imperatore Tito per l'inaugurazione datata 
 80-81 d.C.  (Tito).

Il Colosseo, il cui vero nome è Amphitheatrum Novum, è uno dei monumenti più famosi del mondo ed anche uno dei più impressionanti per la sua mole e per i giochi che vi si svolgevano.
 La sua costruzione si data tra il 70 e l’80 d.C. circa, ad opera de primi due imperatori della dinastia flavia: Vespasiano, Tito.
Tito, per l'inaugurazione  organizzò dei giochi memorabili ed emise una moneta definita come la più interessante del regno,  e probabilmente molte  ne furono lanciate alla folla come dono durante gli spettacoli.
 In questo modo, la moneta diventava anche uno strumento di propaganda per pubblicizzare un’opera compiuta dall’imperatore.
Il retro della moneta mostra  il Colosseo in una prospettiva a volo d’uccello dell’edificio, con le statue che ornavano le aperture degli archi, gli spalti gremiti da spettatori:
un piano superiore, con dieci palchi,  un secondo piano semicircolare e sotto una cavea piena  con un arco al centro e delle uscite alla destra e alla sinistra. 
 Sembra quasi uno scatto ripreso da un moderno drone, con il pubblico sugli spalti.  Si riconoscono la Meta Sudans, sulla sinistra, e a destra un portico forse di collegamento alle Terme di Tito.
Su dritto,  Tito togato, a capo scoperto, e' rappresentato  seduto a sinistra su una sedia curule:  sorregge un ramo con la mano destra estesa ed un rotolo con la sinistra.  

Fonti
*Massimo Polidoro L’avventura del Colosseo
*La moneta
*the-colosseum net

sabato 28 ottobre 2023

FONDAZIONE DI ROMA

FONDAZIONE DI ROMA 

Secondo la tradizione, il 21 aprile 753 a. C., alle pendici del colle Palatino, Romolo tracciò con l'aratro i confini entro cui sarebbe sorta una nuova città. Questo raccontano gli storiografi romani Livio e Varrone, ma il mistero delle origini di Roma non è ancora del tutto risolto.

GLI SCAVI ARCHEOLOGICI. Gli storici moderni hanno stabilito da tempo una regola: non credere a una parola della leggenda riguardante Romolo e Remo, troppo propagandistica per essere vera. Gli archeologi invece, dopo aver effettuato numerosi scavi, almeno un po' ci credono. «La fondazione di Roma non è certo avvenuta dal nulla», dice Paolo Carafa, archeologo e docente all'Universita La Sapienza di Roma «e c'è nella leggenda un nocciolo di verità storica, che abbiamo ricostruito. Prima dell'VIII secolo a. C. esisteva già un insediamento articolato in gruppi di capanne su un'area di circa 200 ettari. A un certo punto qualcuno, forse con un'investitura regale, volle dare a questo insediamento uno statuto speciale, tracciando strade e consacrandolo con una cerimonia religiosa. Le tracce di fortificazione rinvenute sono della seconda meta dell'VIII secolo a. C., quindi vicino al fatidico 753».

«Gli scavi archeologici - aggiunge Dunia Filippi, coordinatrice di numerose operazioni di scavo effettuate sul Palatino -, indicano che il santuario di Vesta con il focolare della dea, simbolo dello statuto urbano dell'insediamento, venne fondato proprio allora».

«Riassumendo», dice Carafa, «alla stessa epoca si datano la creazione di un quartiere regio con il santuario di Vesta, il primo luogo per le assemblee del popolo (i comitia) e il primo santuario civico sul Campidoglio. Poi, verso la fine dell'VIII, si realizza la prima pavimentazione del Foro».

IL MITO DI ENEA. Secondo gli archeologi, insomma, l'apparire di questi importanti luoghi pubblici e la loro datazione ci danno una certezza: lì era nata una città, proprio nel luogo e nel periodo indicati dalla leggenda. Ma c'è di più. Sul Campidoglio sono tornati alla luce resti dell'Età del bronzo, sei secoli prima della tradizionale fondazione di Roma.

«Romolo, o comunque schiamasse quel re, discendeva probabilmente da una dinastia latina più antica. E fu per togliere di mezzo questi antenati poco presentabili che sulla vicenda di Romolo fu innestato il mito di Enea conosciuto nel Lazio già nell'VIII secolo a. C.», precisa l'archeologo. Che porta anche le prove: «Un finimento in bronzo di quel periodo raffigurante un picchio che acceca Anchise, il padre di Enea, punendolo per essersi unito a Venere».

Gli antenati dei Latini erano popoli indoeuropei arrivati dai Balcani Settentrionali nel II millennio a. C. Al tempo della nascita di Roma la tradizione vuole che i villaggi latini fossero 30. In origine i colli del Campidoglio e del Quirinale erano forse occupati dai Sabini, mentre i Romani stavano sul Palatino. Su questo sfondo storico s'inserisce "il ratto delle Sabine". I Romani, giunti dall'originaria Alba Longa senza compagnia femminile, invitarono i Sabini a una grande festa ma, cacciati gli uomini, rapirono le donne.

CITTÀ MULTIETNICA. Si scatenò allora la reazione dei Sabini, che attaccarono Roma per liberare le fanciulle. Ma le rapite si interposero, invitando alla pace e unendosi ai Romani. La verità è che Sabini e Latini si fusero molto presto (Numa Pompilio, secondo re di Roma, era sabino), come dimostrerebbero alcune parole latine – fra le quali bos (bue), scrofa, popina (cucina) – di probabile origine sabina. Attorno al 625 a. C. arrivarono a Roma anche gli Etruschi. Secondo lo storiografo romano Tito Livio, fu allora che giunse da Tarquinia il ricco Lucumo, di raffinata cultura ellenica (Etruschi e Greci erano in stretto contatto), che divenne il quinto re della città sul Tevere con il nome di Tarquinio Prisco. «Lui e i suoi successori trasformarono la prima Roma in una città monumentale», dice Carafa, «con case di pietra, fortificazioni complesse, strade pavimentate e templi in pietra con decorazioni di terracotta. Fin dall'inizio, quindi, Roma fu una città multietnica».

Ma come si spiega la rapida espansione romana nel Lazio? «Tutte le fonti lodano la collocazione strategica sul Tevere, presso il guado dell'isola Tiberina, e il clima favorevole», risponde Carafa. Sarebbe stato facile, da una posizione cosi, tenere sotto controllo i traffici tra due ricche regioni come l'Etruria (a nord) e la Campania (a sud). Ma le strade, all'epoca, più che da nord a sud andavano da est a ovest. Erano le "vie di transumanza", percorse annualmente dai pastori che dal cuore degli Appennini portavano il bestiame a rifornirsi di sale sulla costa. Un bovino consumava 30 kg di sale all'anno e le principali saline si trovavano alla foce del Tevere.

PATER FAMILIAS. Vicino al ponte sul fiume si trovava una zona detta Salinae, proprio accanto al Foro Boario, il mercato del bestiame: chi controllava questo passaggio aveva in pugno l'approvvigionamento del sale verso l'interno. E li c'era Roma. Un altro indizio si può cercare nella solida organizzazione sociale, basata sulla famiglia, all'interno della quale il padre aveva potere di vita e di morte.

La divisione tra patrizi e plebei aveva radici antiche, come pure il Senato, il consiglio degli anziani formato in origine dai rappresentanti delle gentes, le famiglie aristocratiche che si voleva discendessero dai leggendari fondatori (la gens cornelia da Cornelio, la gens valeria da Valerio e così via). A questi clan chiedevano protezione i clientes (artigiani, mercanti). Più clienti si avevano, più si contava.

Mentre non ci si poteva dire Greci se non si era nati in Grecia, diventare Romani era forse più facile che prendere, oggi, la cittadinanza americana. La società romana era conservatrice ma aperta. Una caratteristica che si rivelò utile, anche se i Romani, pratici com'erano, non aprivano certo le porte agli stranieri per generosità. «Una volta consolidate le conquiste militari», spiega Carafa, «si estendevano i benefici della cittadinanza romana per legare a sé gli altri popoli». I territori dell'Italia Centrale furono annessi anche così, offrendo ai notabili del luogo la cittadinanza, con o senza diritto di voto. «Ma intorno al 90 a. C. furono i popoli italici a rivendicarla (ottenendola) grazie alla "guerra sociale"».

PROPAGANDA. Da questo momento in poi l'Italia fu tutta romana. Questa diplomazia basata sulla concessione di privilegi era un modo per estendere la propria sfera di influenza, sotto la minaccia della forza militare. Come scrisse il greco Polibio, si arrivò al punto in cui era diventata "cosa chiara a tutti e assolutamente necessaria che bisognava obbedire ai Romani ed eseguire i loro ordini". Certo, qualche bello spavento, durante la loro conquista del mondo antico, anche i Romani se lo presero: 250 anni dopo la fondazione di Roma, il re etrusco di Chiusi, Porsenna, assediò e conquistò la città, imponendo un trattato.

Questa la cruda verità storica. Ma proprio perché la sconfitta fu cocente, i Romani s'inventarono un eroe da leggenda, Muzio Scevola: fatto prigioniero dopo aver tentato di uccidere Porsenna (aveva pugnalato l'uomo sbagliato), si punì bruciando sui carboni ardenti la mano che aveva mancato il bersaglio; quando affermò che altri 300 coraggiosi come lui erano pronti a ritentare l'impresa, il capo nemico si lasciò impressionare e accettò di firmare un armistizio. Un'altra storica batosta risale al 390 a. C., quando Brenno, a capo dei Galli Senoni, sbaraglio i Romani, saccheggiando la città.

Secondo gli studiosi, le vere armi segrete di Roma erano però la tolleranza nei confronti dei popoli conquistati e un'organizzazione, diremmo noi, "svizzera".

A differenza dei Greci, per i Romani gli altri non erano zoticoni. «La loro espansione», spiega Carafa, «si basava sì sulla forza militare, ma senza l'idea di una superiorità culturale». Anzi, la tolleranza romana si manifestò prima di tutto nella cultura. Orgogliosa delle proprie radici, ma in cerca di promozione sociale, l'élite romana, volendosi dotare di una cultura "alta", scelse la più prestigiosa del momento, quella greca, accogliendo nella propria cerchia intellettuali e artisti ellenici.

MINISTERI E BUROCRAZIA. Quanto all'abilità logistica, questa si manifestò non appena il territorio da controllare fu troppo grande. «Il segreto del successo», prosegue Carafa, «era nell'organizzazione e nella perfezione della macchina statale. Fu così che nacque la burocrazia, con appositi "ministeri" e funzionari per ogni settore dell'amministrazione. Solo i grandi imperi orientali avevano qualcosa del genere». In più, lo Stato romano poteva contare su un sistema giuridico senza precedenti e su un esercito capace di adattarsi a ogni nuova esigenza bellica. Il grande pregio dei Romani fu quello di saper cogliere il buono dei popoli conquistati, rielaborandolo e migliorandolo. Poi, una volta imparata la lezione, gli eredi di Romolo liquidavano i loro "benefattori". Salvo tramandarne le scoperte e gli usi, divenuti nel frattempo romani a tutti gli effetti.
Fonte: Focus Storia di Aldo Carioli

400 fortezze dell' Impero Romano in medioriente

Immagini satellitari spia declassificate rivelano 400 fortezze dell'Impero Romano in Medio Oriente

Centinaia di fortezze dell'Impero Romano sono apparse in vecchie immagini satellitari spia raffiguranti regioni della Siria, dell'Iraq e dei vicini territori della "mezzaluna fertile" del Mediterraneo orientale.

Questi satelliti un tempo venivano utilizzati per la ricognizione negli anni '60 e '70, ma i loro dati sono ora declassificati. Alcune delle loro immagini archiviate consentono ora nuovi reperti archeologici in zone della Terra spesso difficili da visitare per i ricercatori.

I 396 forti ritrovati, avvistati direttamente dallo spazio , confermano ed estendono un'indagine aerea della regione effettuata nel 1934; questa indagine aveva registrato 116 forti sulla frontiera orientale dell'Impero Romano. Gli archeologi continuano a concordare con la conclusione di base di quello studio quasi centenario, ovvero che Roma stava fortificando la sua frontiera. "Questi forti sono simili nella forma a molti forti romani provenienti da altre parti dell'Europa e del Nord Africa. Ci sono molti più forti nel nostro studio che altrove, ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che sono meglio conservati e più facili da riconoscere", ha affermato l'autore principale Jesse Casana, un professore di antropologia specializzato in Medio Oriente al Dartmouth College del New Hampshire

Fonte: https://www.avvenire.it/agora/pagine/archeologia-scoperte-dai-satelliti-spia-400-fortezze-dell-impero-romano-in-medio-oriente?fbclid=IwAR0ogMw9ktJsb656Jzhbm8BqvaygilQ2W8N_Bw7wGekEXL0QOJX7lrRyXps

lunedì 4 settembre 2023

La silenziosa caduta dell'impero romano di occidente


Di solito a scuola, quando vogliamo classificare per sommi capi le varie epoche storiche, il 476 d.C rappresenta una data cruciale. In quell’anno infatti, il mondo assiste alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, un evento epocale che, sempre stando alle convenzioni, pone fine all’età antica e sancisce l’inizio del Medioevo. Eppure, anche se oggi ci può apparire strano, quando l’ultimo imperatore di Roma venne deposto, in pochi ci fecero caso…

I FATTI

Come scritto su qualsiasi manuale, da tempo l’Impero Romano era diviso in due, quello d’Occidente e quello d’Oriente, con capitale a Costantinopoli e che ormai era il “vero” Impero, molto più moderno e potente e con l’autorità per influire su tutto quello che accadeva in Europa.

Il primo dei due cessò di esistere il 4 settembre del 476 d.C, quando il generale germanico e re degli Eruli Odoacre depose il giovanissimo imperatore Romolo Augustolo mandandolo in esilio a Napoli e assumendo il titolo di Rex Italiae. Detta così, però, la storia non racconta tutte le importantissime sfumature della vicenda.

IL RACCONTO DELLA FINE 

Romolo Augustolo infatti non era il sovrano fiero e cinto di alloro che di solito c’immaginiamo quando pensiamo ai grandi imperatori dell’Urbe, ma un ragazzo di tredici anni che era stato messo al potere dal padre, il generale romano Flavio Oreste. A ciò si aggiunge il fatto che l’Imperatore d’Oriente di allora, Flavio Zenone, due anni prima aveva scelto come proprio “collega” d’Occidente un certo Giulio Nepote, il quale però era stato spodestato dallo stesso Flavio Oreste. Dunque il povero Romolo Augustolo non godeva nemmeno della legittimazione di Costantinopoli, cosa che ne ridimensionava molto l’autorità a livello politico.

Un ulteriore elemento da considerare riguarda il fatto che Flavio Oreste poté sconfiggere Giulio Nepote proprio grazie agli uomini del barbaro Odoacre, il quale non era – come Attila – un invasore venuto da lontano per seminare distruzione, ma uno straniero che stava prestando servizio nell’esercito romano, che in quegli anni era quasi interamente composto da barbari e mercenari.

Quando però Odoacre, forte della vittoria, chiese per sé e per i suoi soldati un terzo delle terre d’Italia, Flavio Oreste si rifiutò categoricamente, instillando il malcontento nelle truppe mercenarie. Queste reagirono eleggendo proprio Odoacre come proprio capo e, dopo aver sbaragliato e ucciso lo stesso Flavio Oreste a Pavia, assediarono Ravenna (che allora era diventata capitale al posto di Roma) e cacciarono per sempre Romolo Augustolo.

Per completare il quadro infine, va detto che lo stesso Impero Romano d’Occidente ormai non era nemmeno più tanto “romano, visto che essenzialmente si era ridotto alla sola penisola italiana e a parte dell’attuale Austria. Il resto del glorioso dominio romano era in mano ai barbari (Visigoti in Spagna, Franchi, Burgundi e altre tribù germaniche in Gallia ecc…).

UNA LUNGA CRISI

La crisi di Roma però partiva già da un secolo prima, quando, dopo un lunghissimo periodo di migrazioni “controllate”, l’impero smise di gestire con efficacia le popolazioni che premevano ai suoi confini.

Contrariamente a quanto si pensa infatti, per secoli i romani avevano permesso ai barbari di entrare e vivere all’interno del proprio territorio, controllando il flusso immigratorio e obbligando gli stranieri ad adottare usi e costumi della gens romana: non sono poche le storie di personaggi di origine barbara che fecero carriera (soprattutto in ambito militare).

Con il tempo però l’apparato statale imperiale cessò di funzionare a dovere e intere orde di stranieri iniziarono a penetrare in Europa senza integrarsi, ma invadendo e sostituendosi alle autorità locali.

Quando Odoacre reclamò il suo titolo quindi, gran parte dell’Impero era già “abituato” da un pezzo a convivere (se non ad essere governato) dai barbari, i quali avevano già saccheggiato Roma nel 410 d.C (con i Visigoti di Alarico) e nel 455 d.C (con i Vandali di Genserico), ottenendo un ruolo di primo piano nella vita politica dell’Impero ormai morente.

L’IMPERO CESSA DI ESISTERE?

La caduta dell’Impero Romano d’Occidente dunque non sconvolse più di tanto i popoli di allora, i quali, alla fine, non notarono grande differenza tra il prima e il dopo. Le fonti del tempo quasi non parlano dell’accaduto (per questo lo storico Arnaldo Momigliano parla di «caduta senza rumore») e molti tra i ceti dirigenti italici dell’epoca si trovarono perfino d’accordo con questo passaggio di consegne.

Anche perché, benché noi europei contemporanei a volte sembriamo dimenticarcelo, il “vero” Impero Romano continuò ad esistere per altri mille anni ad Est sotto il dominio di Costantinopoli, verso la quale si era spostato da diversi secoli il peso dell’eredità degli antichi splendori della Roma dei Cesari.

Anzi furono proprio gli imperatori orientali che in qualche modo legittimarono i successivi re barbari d’Europa (non Odocacre, che anzi venne soppiantato da un altro re barbaro favorito dall’imperatore d’Oriente) intrattenendo rapporti diplomatici con essi.

Fonte: https://www.focusjunior.it/scuola/storia/la-caduta-dellimpero-romano-doccidente/

 

domenica 11 giugno 2023

IL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO IN ROMA

IL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO.

Cosa dicono le fonti storiche a riguardo?
Fu distrutto dai barbari? Dai romani, dai papi?
Andiamo con ordine e partiamo dal IV sec. ,quello in cui comincia ad affermarsi come unica religione di stato il cristianesimo.
Benchè si pensi il contrario i templi di Roma, a parte tre, (di cui uno in forse), non vennero danneggiati da chissà quali orde di cristiani.Se dobbiamo dar retta a ciò che scrisse Procopio di Cesarea, e all'elenco redatto da Zaccaria di Mitilene,nel VI sec.in Roma vi erano ancora 423 templi,(ovviamente mostravano i segni del tempo).
Tra questi vi era il maestoso tempio della Triade Capitolina, le cui spoliazioni iniziarono verso la fine del IV sec.ad opera del Magister Militum Stilicone,che in cerca di risorse per finanziare la guerra contro i goti, fece asportare il rivestimento aureo delle porte,(Zosimo,5,38,5).
L'ultima dedica d'oro al tempio risale al 425.
Dopo qualche anno, nel 455 è la volta del saccheggio, da parte dei vandali e degli alani di Genserico,il quale fa asportare metà delle tegole bronzee che ricoprivano il tetto,(Procopio,Bell.van.1,5,3-4).
Infine nel 571d.c. ad opera del generale dell'impero romano d'Oriente, Narsete (Mgh,AA,IX 336,714).
Da tener presente che prima della riconquista di Roma da parte dei romani, la città rimase per ben tre anni senza la popolazione.Totila re dei goti ne scacciò la popolazione residua,che secondo Procopio di Cesarea ammontava a 500 persone. Le altre morte per fame, per le epidemie o scappate verso le campagne o verso Costantinopoli e Ravenna.In quel periodo la città subì diversi danni, tra i quali la distruzione di circa un terzo delle Mura Aureliane.
Dobbiamo ricordare che tra il 1082 e il 1084 il Campidoglio,(l'area dove sorgeva il tempio), fu teatro di scontri tra gli imperiali di Enrico IV e i fedeli del papa. L'imperatore occupò la città e il papa si rifugiò a Castel S.Angelo. La famiglia Corsi fedele al papa si era asseragliata sul Campidoglio e per averne ragione,l'area fu data alle fiamme.
Possiamo ipotizzare che anche il Tempio di Giove, possa aver subito ulteriori danni.
Da notare che durante il periodo della"Cattività Avignonese",abusi sugli antichi edifici vennero fatti senza il benchè minimo controllo.
A conferma di ciò abbiamo la bolla di papa Martino V "Etsi de cunctarum"(1425), nella quale senza mezzi termini definiva sacrileghe le devastazioni di edifici antichi.
Sono noti recuperi di materiali architettonici sin dalla metà del XV sec., ma è tra il 1544 e il 1546,con la costruzione di Palazzo Caffarelli,che prenderà il via la sistematica demolizione delle ultime strutture del tempio e di quanto era rimasto delle decorazioni marmoree. I Caffarelli distrussero anche 14 filari del tempio.
Il tempio era ormai ridotto ad un cumulo di rovine,grazie anche ai forti terremoti che interessarono la città nel corso dei secoli. La popolazione si era ridotta a poche migliaia di abitanti, per cui era venuta a mancare non solo la normale manutenzione,ma anche le maestranze necessarie, e i fondi necessari allo scopo.
La mancanza di metalli e di materiali edili spinsero tutti,dal popolo, ai nobili ed infine ai papi a riciclare tutto il possibile.Si cercò sempre e comunque di utilizzare materiale da quei monumenti che erano completamente in rovina, mentre a volte, per il quieto vivere tra le famiglie nobili e il papa si cercò di chiudere gli occhi.
Dalle fonti sappiamo che alcuni marmi furono impiegati in S.Pietro, alcuni nella cappella Mignanelli, altri andarono a finire nel giardino del Granduca di Toscana,altri in abitazioni private, e verso altre direzioni.
Sul tempio cadde l'oblio,fino a quando, nel IXI sec. scavi sistematici non ridestarono interesse, riportando alla luce frammenti e fondamenta di quello che era considerato uno dei templi più maestosi di Roma.
Ciò che è rimasto del tempio è tutt'ora visibile nei Musei Capitolini.

fonti:
Ammiano Marcellino.
Zosimo.
Procopio di Cesarea.
Poggio Bracciolini.
Flaminio Vacca.
Carlo Fea.
Academia Educational.
www.jstor.org

ANNIBALE IN ITALIA

ANNIBALE IN ITALIA 

La sconfitta brucia. 
Il responsabile principale è il console romano, che prova a giustificarsi a Roma.
In realtà Sempronio Longo è stato sconfitto da un genio militare.
Ma questo ancora non lo sa nessuno. 
Per tutti è ancora e soltanto il generale cartaginese.
Nei 6 mesi successivi però Tutto il nord Italia è definitivamente perso da Roma.
I celti massacrano chi parla latino, saccheggiano ed incendiano le odiate colonie.
Aldila’del Lete, più su della dimensione terrestre, Mario guarda sdegnoso, e attende la rivincita osservando i massacri nella valle padana. 

Ma non può intervenire, deve ancora aspettare. 
“Lo vedranno”, mormora. 
“La pagheranno cara… “ripete.
Più in là un ragazzo biondo, sembra quasi un nipote, sorride di gusto. 
“Che vuoi tu? Moccioso”
Non penserai di fare meglio di Mario?
“No “, risponde sereno il bimbo. 
Io penserò a fare bene solo il mio lavoro. Il lavoro di Giulio….
Ma questi sono discorsi da Campi Elisi.

Intanto i romani si trincerano dentro i castra di Piacenza e Modena. 
Solo i veneti ed i galli cenomani, riforniscono gli alleati chiusi dentro i castella.
La pianura padana si presta a Maarbale, il comandante della cavalleria che lavora di coltello e ferocia. 
Più a sud i nuovi Consoli hanno l’ordine di intercettarlo, unendo le due armate consolari e finalmente piegarlo.

Dunque un bravo generale avrebbe preso la via emilia, saccheggiato le terre di Fiesole, per discendere verso il Valdarno e lì affrontare il primo dei consoli. Questo avrebbe fatto un bravo generale.

Non Annibale. 

Dopo il Trebbia ed il Ticino, lui prima annichilisce il potere romano in nord Italia, poi taglia le strade dalla Cisa, scavalca l’Appennino, trova le antiche strade etrusche, segue la costa a cavallo del Suo elefante Surus e scollina la Cisa. 
Taglia per la piana lucchese, dove malaria e acque stagne accecano lui di un occhio ed uccidono il suo elefante. 
Ma non scoraggiano di un millimetro la sua forza di volontà.
Avanza. Avanza. Avanza.
Intanto tutti gli Etruschi sbarrano le città. Ne’ acqua ne’pane all’invasore.
Ma Annibale non si ferma. 
Razzie ed incendi.  
Ormai ha più di 50.000 uomini, quasi tutti Galli ed ispanici, maramaldeggia sino all’odierna San Miniato, a 50 km da Pisa, poi improvvisamente ruota sulla sua sinistra, segue il fiume Elsa, passa da quella che oggi è località Pinocchio, dove si svolgono le feste dell’unità. 
Evidentemente quella terra continua ad essere disgraziata sin dai tempi dell’orbo feroce.

Ora ordina di marciare velocemente. Deve Impedire alle due armate romane di congiungersi. Incendi e devastazioni l’accompagnano nella grassa terra etrusca.
Alla fine della guerra saranno più di 400 le città italiane bruciate dall’invasore o per rappresaglia dai Romani.
Intanto però si seguono i boschi. I vecchi sentieri. Celati e veloci i punici si mimetizzano nelle selve. 
Lui non piomberà addosso ai romani da nord come si aspettano i crestati.
Questo il console Flaminio non lo sa quando decide di perimetrale il lago Trasimeno per ricongiungersi al collega Gneo Servilio Geminus, sull’Adriatico.
Flaminio Marcia in colonne serrate.
Le trombe e le insegne in testa.
Flaminio non lo sa, Ma sta portando la sua armata all’inferno.

lunedì 24 aprile 2023

L' età repubblicana e le popolazioni di origine celtica

L'età repubblicana: le popolazioni di origine celtica

Il periodo storico dell'età repubblicana che fu interessato da importanti tentativi di secessione sociale da parte dei plebei, al fine di ottenere diritti e libertà, fu caratterizzato dall'ascesa nella penisola italica, di popolazioni di origine celtica, in cerca di territori in cui stabilirsi. Primi tra tutti, Equi e Volsci, spingendosi fino in Etruria, vennero a saccheggiare varie città etrusche, entrando, poi, in contatto con le zone sotto l'influenza romana. A tale proposito, rilevò la vicenda di un patrizio dell'Urbe che fu soprannominato Coriolano dalla città di Corioli in cui aveva ottenuto un successo militare. Questo esponente politico e dell'esercito fu costretto all'esilio dalla popolazione plebea in quanto si era opposto alla distribuzione delle terre in suo favore. Cacciato da Roma, per ripicca, passò al nemico, divenendo comandante del suo esercito. In questo ruolo, ottenne vari successi contro i Romani e, tuttavia, nel momento in cui stava per dare all'Urbe il colpo di grazia fu indotto a ritirarsi. Essendo ciò risultato cosa sgradevole ai soldati che comandava fu giustiziato, come traditore. Comunque, nelle vicende che coinvolgono Equi e Volsci, in confronto militare diretto contro i Romani, rilevarono anche le figure di 2 consoli, poi, nominati dictator, al fine di meglio operare in guerra, avendo il completo controllo dell'esercito. Il primo dei 2 fu Quinzio Cincinnato, il secondo Marco Furio Camillo. Per quanto riguarda Cincinnato, dittatore per sedici giorni, non appena riuscì a scongiurare il pericolo dell'invasione di Roma da parte degli Equi, rinunciò alla sua carica e si ritirò presso il suo podere per svolgere l'attività di agricoltore, dimostrando molto senso civico ed ergendosi a paladino integerrimo delle istituzioni romane. Per quanto riguarda, invece, Furio Camillo, ottenne una serie di brillanti successi contro i Volsci che, però, a lungo andare lo resero inviso agli occhi del Senato e, per questo motivo, alla fine, fu costretto all'esilio. L'ex dictator si ritirò, dunque, ad Ardea. Nel frattempo, altre popolazioni di origine celtica penetravano dal Nord, nella pianura padana e si trattò di Insubri, Boi, Cenomani e Senoni. Furono proprio questi ultimi che causarono i maggiori problemi a Roma. Sotto la guida di Brenno, infatti, nel 390 a.C. si avventurarono nel Lazio, fino a mettere d'assedio l'Urbe. A tale proposito, si narra come i Romani abbandonarono le loro dimore per rifugiarsi sul Campidoglio, al quale fu mosso l'assalto dai Galli e, in base alla leggenda, solo il provvido allarme che diede un gruppo di oche, al sopraggiungere dei barbari, evitò il peggio. Infatti, Manlio Capitolino, comandante della guarnigione posta a difesa del Campidoglio riuscì a intervenire per tempo. Comunque, i Galli Senoni di andarsene subito da Roma non ne avevano alcuna intenzione ed essendo rimasti presso la Curia i Senatori si rivolsero a loro per farsi pagare un cospicuo riscatto. In base alla leggenda, Roma avrebbe dovuto versare agli invasori molto oro e per aumentarne la quantità, Brenno, addirittura, gettò sul piatto della bilancia, che ne stava stabilendo il peso, anche la sua spada, proferendo le celebri parole "Vae Victis" (guai ai vinti). A questo punto, però, ci fu il ritorno in scena di Marco Furio Camillo che, richiamato dall'esilio, si prestò, ancora una volta, per fare gli interessi di Roma e liberarla dai barbari. Sembra, addirittura, che, al capo dei Galli Senoni, avesse risposto che l'Urbe non doveva essere liberata con l'oro, ma con il ferro. Fatto sta che, al di là del mito, la città fu, effettivamente, messa a sacco dai Galli e questi ultimi, poi, se ne andarono, riprendendo la strada per il Settentrione, non essendo nel loro interesse stazionare nella zona e neppure dare luogo, per propria abitudine, a un agglomerato urbano stabile e duraturo.

C.C.Tacitus (profilo storico personale)

(Nell'immagine guerrieri celti)

giovedì 2 marzo 2023

Il più ricco auriga romano

Il PIU’ RICCO AURIGA ROMANO

Viviamo in mondo di statistiche, sondaggi, opinionisti e volendo anche curiosi, non poteva dunque mancare chi nel 2010 affermò che il giocatore di golf Americano Tiger Woods era lo “sportivo” o “atleta” che nella storia avesse guadagnato la cifra più alta di tutti, 775 milioni di euro ! (un miliardo di dollari). Il primato resistette fino a quando (ironia della sorte) un professore di storia degli Stati Uniti d’America PETER STRUCK scopre durante una sua visita a Roma una iscrizione antica dove veniva riportata fedelmente il totale della cifra vinta in 24 anni di corse nel circo di Roma dal famoso auriga GAIUS APPULEIUS , 35.863.320 sesterzi ! Il professor Struck numeri alla mano ha voluto tentare un paragone comparativo ai tempi nostri per meglio rendere l’idea. La cifra guadagnata da Gaius Appuleius era sufficiente a quei tempi a pagare lo stipendio di tutti i soldati dell’Impero Romano per un quinto di anno, tenendo presente che era il miglior esercito del mondo. Oggi per pagare lo stipendio di tutti i soldati degli Stati Uniti d’America (che sono il miglior esercito del mondo) per un quinto di anno servono circa 15 miliardi di dollari ! Davanti all’Auriga APPULEIUS il pur bravo Tiger Woods con il suo miliardo di dollari vinti in carriera deve dichiararsi sconfitto, il record resta a ROMA !

sabato 4 febbraio 2023

Teatro di Pompeo

IL TEATRO DI POMPEO
Il teatro di Pompeo,oggi non più esistente,è stato il primo a Roma costruito in muratura accanto al luogo dove Pompeo era nato e che lui voleva nobilitare.
Il teatro si ergeva nella zona del campo Marzio,edificato,a spese di Pompeo,tra il 61 e il 55 a.c
Per Roma fu un'innovazione storica perché la legge vietava la costruzione di teatri in muratura.
Venne costruito su un podio rialzato un tempio dedicato a Venere vincitrice con una gradinata d'accesso ad esedra davanti al tempio che costituiva una cavea semicircolare ove potevano sedersi sino a 30000 spettatori.
Dietro il palcoscenico vi era un immenso portico con colonne di granito di m. 180x135,con 14 grandi statue ed una zona aperta con fontane,giardini,ninfei e due boschetti di platani.
Il quadriportico terminava con la Curia di Pompeo,ove venne assassinato Cesare.