sabato 1 giugno 2019

Ottaviano Augusto


Gaio Ottavio, più conosciuto come Ottaviano Augusto, fu il primo imperatore di Roma. Cagionevole di salute, di statura media, poco prestante, era altresì molto bello: biondo, fronte alta, naso importante, occhi che attiravano lo sguardo. Naturalmente le qualità che gli permisero di divenire il padrone assoluto di Roma e di un impero immenso furono altre: un concentrato di astuzia, prudenza, carisma e riservatezza. Gaio Ottavio nacque a Roma il 23 settembre del 63 a.C. da Gaio Ottavio, importante uomo d'affari nonché senatore e discendente della gens Octavia, originaria di Velitrae (odierna Velletri), e da Azia, discendente invece dalla stirpe che, secondo la leggenda, avrebbe fondato Roma, la gens Iulia. Azia infatti era imparentata sia con Giulio Cesare che con Gneo Pompeo Magno, essendo la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo. Il piccolo Ottavio probabilmente nacque a Roma soltanto per caso, nella casa situata sul Palatino che il padre utilizzava in occasione delle riunioni del Senato: la famiglia infatti viveva a Velitrae e lì Ottavio fu allevato. Rimasto orfano all'età di quattro anni, nel 44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio Giulio Cesare e, secondo la consuetudine, assunse il nomen gentilizio (Iulius) ed il cognomen (Caesar) del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della gens di provenienza aggettivata in -anus, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Gaius Iulius Caesar Octavianus). Evidentemente Giulio Cesare credeva fortemente in questo ragazzo perché, sebbene fosse ancora molto giovane, lo inviò ad Apollonia (nell'attuale Albania), dove era acquartierato l'esercito con il quale si stava preparando a partire per la guerra contro i Parti, per sorvegliarne i preparativi. Fu proprio ad Apollonia che Ottaviano fu informato dell'uccisione del prozio (15 marzo 44 a.C.) ed allora tornò immediatamente a Roma per reclamare i suoi diritti di figlio adottivo e di erede di Cesare. Ottaviano, giunto a Roma il 21 maggio, quando gli assassini di Cesare avevano già abbandonato la città grazie ad un'amnistia concessa dal console superstite, Marco Antonio, rivendicò il nome adottivo di Gaio Giulio Cesare, dichiarando pubblicamente di accettare l'eredità del padre: fu per questo motivo che, in occasione dell'udienza nella quale incontrò Antonio, chiese che gli venissero restituiti, almeno in parte, i denari consegnati ad Antonio dalla moglie di Cesare, Calpurnia, subito dopo la morte del dittatore, con i quali si sarebbero dovuti pagare i 300 sesterzi a testa che Cesare aveva lasciato nel suo testamento ai cittadini romani. Antonio non dovette preoccuparsi molto di quel giovinetto che gli comparve di fronte e con indifferenza rispose che non avrebbe potuto soddisfare la sua richiesta perché quelli non erano denari privati ma dell'erario. Ottaviano decise allora, impegnando i propri beni, di anticipare al popolo le somme, diffondendo ad arte la voce che Antonio gli impediva di entrare in possesso della sua eredità. La sua popolarità crebbe immediatamente, ottenendo inoltre che molti cesariani si schierarono dalla sua parte contro Antonio, suo diretto avversario nella successione politica a Cesare. Quando il Senato approvò la ratifica del testamento, riconoscendo ad Ottaviano lo status di erede legittimo e soprattutto padrone del patrimonio di Giulio Cesare, Ottaviano fu in grado di reclutare un esercito privato di circa 3.000 veterani di Cesare e comprò 2 legioni dell'esercito macedonico del console (la Martia e la IV). L'occasione di scontrarsi con Antonio avvenne quando il Senato inviò i due consoli del 43 a.C., Gaio Vibio Pansa ed Aulo Irzio, a sostegno di Decimo Bruto, uno dei capi dei cesaricidi, assediato da Antonio che voleva impadronirsi delle truppe della Gallia Cisalpina. Il 21 aprile Antonio venne sconfitto nella battaglia di Modena, nella quale rimasero uccisi anche i due consoli, cosicché Ottaviano ne uscì unico vincitore. Tornato a Roma con l'esercito, questi, malgrado la giovane età, si fece eleggere consul suffectus (ossia console in sostituzione) assieme a Quinto Pedio, ottenendo compensi per i suoi legionari e facendo approvare dal Senato la Lex Pedia contro i cesaricidi. In tal modo i consoli poterono rifiutarsi di portare ulteriore soccorso a Decimo Bruto, che, in fuga, venne infine ucciso nella Cisalpina da un capo Gallo fedele ad Antonio. Dalla sua nuova posizione di forza, divenuto legalmente a capo dello Stato romano, Ottaviano prese contatti con il principale sostenitore di Antonio, il pontefice massimo Marco Emilio Lepido, già magister equitum di Cesare, con l'intenzione di ricomporre i dissidi interni alla fazione cesariana. Ottaviano, Antonio e Lepido organizzarono un incontro nei pressi di Bologna, dal quale nacque un accordo della durata di cinque anni: si trattava del secondo triumvirato, riconosciuto legalmente dal Senato il 27 novembre di quello stesso anno con la Lex Titia, con la quale veniva creata la speciale magistratura dei Triumviri rei publicae constituendae consulari potestate, ovvero "Triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare". Il patto prevedeva la divisione dei territori romani: ad Ottaviano toccarono Sicilia, Sardegna ed Africa, ad Antonio le due Gallie, a Lepido la Spagna e la Narbonense. La decisione più drastica fu quella di eliminare fisicamente gli oppositori di Cesare, che portò alla confisca dei beni ed all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso Cicerone, che pagò in tal modo le Filippiche rivolte contro Antonio. Nell'ottobre del 42 a.C. Antonio ed Ottaviano, lasciato Lepido al governo di Roma, si scontrarono con i cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino e li sconfissero in due battaglie a Filippi, nella Macedonia orientale: i due anticesariani trovarono la morte suicidandosi. Ottaviano, Antonio e Lepido procedettero ad una nuova spartizione delle province: a Lepido furono lasciate la Numidia e l'Africa proconsolaris, ad Antonio la Gallia, la Transpadania e l'Oriente romano, ad Ottaviano spettarono l'Italia, la Sicilia, l'Iberia, la Sardegna e la Corsica. Al fine di allearsi con Sesto Pompeo, prefetto della flotta romana, Ottaviano sposò Scribonia, parente dello stesso Sesto: da questa donna Ottaviano ebbe la sua unica figlia, Giulia. Nell'estate del 40 a.C. Ottaviano ed Antonio giunsero ad aperte ostilità: Antonio cercò di sbarcare a Brindisi con l'aiuto di Sesto Pompeo, ma la città gli chiuse le porte. I soldati di ambedue le fazioni si rifiutarono di combattere ed i triumviri, pertanto, misero da parte le discordie. Con il trattato di Brindisi (settembre del 40 a.C.) si venne ad una nuova divisione delle province: ad Antonio restò l'Oriente romano da Scutari, compresa la Macedonia, e l'Acaia (ovvero l'antica Grecia), ad Ottaviano l'Occidente compreso l'Illirico, a Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l'Africa e la Numidia; a Sesto Pompeo la Sicilia. Il patto fu sancito con il matrimonio tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, Ottavia minore. Dopo il trattato di Brindisi, Ottaviano ruppe l'alleanza con Sesto Pompeo, ripudiò Scribonia e sposò Livia Drusilla, madre di Tiberio ed in attesa di un secondo figlio. Nel 39 a.C., a Miseno, Ottaviano assegnò a Sesto Pompeo le province di Sardegna e Corsica, fondando la città di Turris Libisonis (odierna Porto Torres) e promettendogli l'Acaia, ottenendo in cambio la ripresa dei rifornimenti a Roma (Pompeo con la sua flotta bloccava infatti le navi provenienti dal Mediterraneo). Nel 38 a.C. Ottaviano accettò di incontrarsi a Brindisi con Antonio e Lepido per rinnovare il patto di alleanza per altri cinque anni. Nel 36 a.C., grazie all'amico e generale Marco Vipsanio Agrippa, Ottaviano riuscì a liberarsi finalmente di Sesto Pompeo, divenuto un alleato scomodo, sconfiggendolo definitivamente presso Mileto, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio. La Sicilia cadde e Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove poco dopo fu assassinato dai sicari di Antonio. A quel punto, però, Ottaviano dovette far fronte alle ambizioni di Lepido, il quale, aspirando alla Sicilia rimasta libera, ruppe il patto di alleanza e mosse per impossessarsene. Sconfitto però rapidamente, dopo che i suoi soldati lo abbandonarono passando dalla parte di Ottaviano, Lepido fu confinato al Circeo, pur conservando la carica pubblica di pontifex maximus. Con l'eliminazione graduale di tutti i contendenti nell'arco di 6 anni, da Bruto e Cassio, a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione vide a questo punto due soli contendenti: Ottaviano in Occidente ed Antonio in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due triumviri, ciascuno troppo ingombrante per l'altro. Alla sua scadenza, nel 33 a.C., il triumvirato non venne rinnovato e, cosa ben più grave, Antonio ripudiò la sorella di Ottaviano con un affronto per quest'ultimo intollerabile. Il conflitto divenne inevitabile. Mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto ed ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare. Ottaviano ebbe vita facile ad evidenziare l'atto come un'offesa irreparabile nei confronti di Roma ed a far sì che il Senato dichiarasse guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C.

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