mercoledì 6 novembre 2019

L' incendio di Roma


Nerone e l’incendio del 64 d.C.

Con molta probabilità non fu Nerone a ordinare di appiccare il fuoco a Roma, come la storia ci ha sempre superficialmente tramandato, restituendoci l’immagine di un imperatore   megalomane e indifferente al dolore del suo popolo, tanto da suonare la lira nei tempi drammatici del rogo di  Roma, ammirando dall’alto il divampare delle fiamme, felice e giulivo di poter ricostruire la capitale e la sua residenza privata  secondo i suoi egoistici desideri.

Né a provocare l'incendio, contribuì il caldo torrido dell'estate. In realtà, secondo le ricerche condotte dallo storico Gerhard Baudy, professore all'università bavarese di Costanza, a dare alle fiamme nel 64 d.C. il nucleo più antico della città eterna, sarebbe stato un gruppo di fanatici religiosi, deciso a rovesciare l'impero romano, sulla scia di rivelazioni divine, tra cui una in particolare, sulla quale l'aspettativa era così alta da non poter escludere che deliberatamente qualcuno non cercasse di tradurla in realtà.

Un'antica profezia egizia dai toni apocalittici e molto diffusa tra i primi cristiani  di Roma, annunciava la caduta della grande città malvagia, la lussuriosa prostituta pagana dedita al culto dei demoni,   nel giorno in cui la stella Sirio, avrebbe fatto la sua comparsa.  Sirio si alzò il 19 luglio del 64 d.C.  il giorno stesso in cui divampò il grande incendio di Roma.  Gerhard Baudy e con lui molti altri studiosi, come Carlo Pascal e Leon Hermann,   ritengono che, tenendo presente questa data profetica, un pugno di fanatici appartenenti alla frangia più estremista della comunità  cristiana, potrebbe aver appiccato  il fuoco o forse acceso  fuochi aggiuntivi, nella speranza di realizzare ciò che, secondo loro,  esprimevano quelle terribili parole.

L’incendio scoppiò al Circo Massimo e durò nove giorni nonostante i tentativi di fermarlo devastando quattordici quartieri della città. Nerone fece presto a incolparne i cristiani, condannandone a morte duecento o trecento dei tremila che vivevano a Roma. Secondo Tacito, molti furono uccisi nel più crudele dei modi. E’ difficile sapere se credere o meno alle accuse riportate negli scritti di Tacito.

Nerone non era a Roma quando scoppiò l’incendio,  fece di tutto per soccorrere la popolazione afflitta, aprì i suoi giardini, mise a disposizione ingenti quantitativi di derrate alimentari,  ricostruì la città con criteri antincendi molto innovativi. Il popolo lo adorava, le famiglie aristocratiche un po’ meno.

Di lui ci rimane un’opera grandiosa, la domus aurea avvolta da tanti misteri tecnologici irrisolti, come la sala rotante, che poggiando probabilmente su cuscinetti a sfera, mossi dall’acqua regalava una vista  mozzafiato sull’intera città. Il progettista di questa meraviglia è l’ingegnere della robotica, oggi lo chiameremmo in questo modo, Erone d’Alessandria, chiamato da Nerone a realizzare i suoi progetti che a distanza di duemila anni  ancora fanno discutere e affascinano.

Nel XII secolo, papa Pasquale II (1099 – 1118), superstizioso e suggestionato dai corvi che volteggiavano sul noce vicino al sepolcro dell’imperatore, convinto di vedere in Nerone l’Anticristo descritto dalle profezie, o meglio, la bestia identificata con il numero 666,  ne fece disperdere le ceneri; in seguito, davanti alle proteste dei romani, fece diffondere la notizia di aver fatto trasferire i resti all’interno di un sarcofago lungo la Via Cassia in una zona che, da allora, prese il nome di “Tomba di Nerone”.




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