venerdì 1 novembre 2019

Manus ad ferrum


“Manus ad Ferrum”
Lucius Domitius Aurelianus
Sirmio 9 settembre 214 – Bisanzio, 25 settembre 275
54 mm Art Girona
Scultura Adriano Laruccia Pittura Michel Hupet

E' stato un imperatore romano, dal 270 alla sua morte.Per la sua tempra di guerriero fu soprannominato manus ad ferrum (mano sulla spada).
Soldato di carriera, fu elevato alla porpora dai soldati, e dai soldati fu ucciso dopo appena cinque anni di regno. Malgrado la brevità del suo regno, riuscì a portare a termine dei compiti decisivi affinché l'Impero romano superasse la grave crisi del terzo secolo: ricompose l'unità dell'Impero, che rischiava di frantumarsi in tre parti tra loro ostili (Gallie, parte legittima e Palmira) - vedi figura sopra-; elevò una cinta muraria attorno a Roma, che prese il nome di Mura aureliane; interruppe e invertì la tendenza alla svalutazione monetaria che stava danneggiando l'economia dell'impero.
Lucio Domizio Aureliano nacque nella Pannonia Inferiore, nei dintorni di Sirmio, il 9 settembre 214 o 215 da una famiglia di modeste condizioni. Il padre era colono di un certo senatore Aurelio, mentre la madre sarebbe stata una sacerdotessa del Sole. È perciò possibile che, essendo Domizio il nome paterno, il futuro imperatore abbia preso il cognome Aureliano dalla madre Aurelia, probabilmente una liberta del senatore Aurelio.
Il culto del Sole si era già esteso alla fine del II secolo, particolarmente nelle regioni danubiane, portatovi dai soldati che, come il padre di Aureliano, smesso il servizio, vi si stabilivano come contadini. A Roma tale culto risulta essere stato praticato dalla gens Aurelia così che appare naturale che anche la madre di Aureliano abbia praticato la religione solare e che ad essa sia stato anche il figlio Aureliano. Di altri familiari, si sa soltanto che ebbe almeno una sorella un figlio della quale egli, divenuto imperatore, farà uccidere.
Carriera militare. Le regioni danubiane erano e rimasero a lungo terra di reclutamento militare delle legioni dell’Impero e Aureliano fu probabilmente arruolato intorno ai venti anni. Si sa che intorno al 242 prese parte come comandante di una coorte ai combattimenti contro i Sarmati che avevano invaso l’Illiria e qualche anno dopo, tribuno della cosiddetta Legio VI Gallicana, combatté i Franchi a Magonza, nei pressi del Reno. Il nome di quella legione, così indicato dalla Historia Augusta, è però inesistente: si trattava in realtà di una legione proveniente dalla Britannia. Anni dopo Aureliano sarebbe poi passato per Antiochia, in occasione della sua partecipazione a un'ambasceria in Persia. Aureliano è menzionato ancora in Gallia nel 256, quando vi giunge Gallieno mentre un anno o due dopo, avrebbe assunto, in assenza del comandante Ulpio Crinito, la responsabilità della difesa del Basso Danubio, battendo i Goti invasori.
Il 268 è un anno di gravi minacce per l’Impero: a nord premono i Germani e nei Balcani i Goti, mentre il ribelle Aureolo è assediato dall’armata imperiale a Milano. È proprio qui che i generali ordiscono una congiura. Il prefetto del pretorio Eracliano, Marciano, Claudio e Aureliano, allora magister equitum, decidono di sbarazzarsi di Gallieno, sembra seguendo un piano predisposto dallo stesso Aureliano: Gallieno viene ucciso e Claudio è proclamato imperatore, mentre anche Aureolo, pur essendosi arreso, viene assassinato.
Aureliano, che è ormai divenuto il braccio destro di Claudio, combatte contro gli Alemanni sconfiggendoli sulle rive del lago di Garda e nel 269 affronta i Goti che sono penetrati in Mesia battendoli a Doberos e a Naisso. Con l'inizio del 270, quando ancora Claudio era impegnato a fronteggiare la minaccia gotica, una nuova invasione tornò a procurare ingenti danni in Rezia e Norico. Claudio, costretto ad intervenire con grande prontezza, affidò il comando balcanico ad Aureliano, mentre egli stesso si dirigeva a Sirmio, suo quartier generale, da dove poteva meglio controllare ed operare contro i barbari, ma moriva poco dopo in seguito ad una nuova epidemia di peste scoppiata tra le file del suo esercito.
Claudio aveva lasciato ad Aquileia un presidio di truppe al comando del fratello Quintillo, al quale il Senato conferì la carica imperiale. Saputo della morte di Claudio e della nomina di Quintillo, Aureliano concluse rapidamente la guerra contro i Goti in Tracia e nelle Mesie, ponendo fine agli assedi di Anchialus, nei pressi della moderna Pomorie in Bulgaria sul Mar Nero, e di Nicopolis ad Istrum, per accorrere a Sirmio, dove fu acclamato imperatore: a questa notizia Quintillo, che era rimasto ad Aquileia, abbandonato dai suoi stessi soldati, preferì suicidarsi.
Regno di Aureliano (270-275). Aureliano poté così affrontare l'invasione di quelle popolazioni germaniche che stava interessando l'Italia. I barbari, Alamanni, Marcomanni o Iutungi che fossero, in numero di 40.000 cavalieri e 80.000 fanti avevano superato l’Alto Danubio invadendo la Rezia e il Norico ed erano scesi in Italia attraverso lo Spluga e il Brennero.
Aureliano da Sirmio si portò in Rezia, affrontando i barbari che, alla notizia del suo arrivo, riattraversavano le Alpi: furono battuti ma poterono tornare nei loro paesi oltre il Danubio dopo aver stipulato la pace. Le loro richieste di un rinnovo del precedente trattato e del riconoscimento di nuovi sussidi furono rifiutati da Aureliano: la pace siglata tra l'impero e le popolazioni germaniche definì la politica del nuovo imperatore nei confronti dei barbari. In cambio di un loro foedus egli rifiutò compensi che avrebbero reso l'impero tributario dei suoi stessi federati. Poi discese a Roma, per prendere ufficialmente possesso della dignità imperiale dalle mani del Senato. Prendendo il potere, Aureliano trovava l’Impero diviso in tre parti: la Gallia e la Britannia, che costituivano l’impero gallo-romano, soggetto a Tetrico, e che si trovava in piena crisi interna e doveva guardarsi dalle incursioni d’oltre Reno delle tribù germaniche; in Oriente, la Siria, l’Asia minore e l’Egitto erano soggette al Regno di Palmira di Zenobia e del figlio Vaballato, e guardavano le frontiere partiche. L’Impero romano propriamente detto era costituito dall’Italia, dai Balcani, dalla Grecia e dalle province africane, Egitto escluso. Aureliano aveva a disposizione 14 legioni e tutta la frontiera danubiana da vigilare da Iutungi, Alamanni, Marcomanni, Quadi, Iazigi, Goti, Alani, Eruli e Roxolani.
Aureliano, pur deciso a ricostituire l’Impero, doveva guadagnare tempo, a causa delle insufficienti risorse militari: egli poteva infatti ricorrere soltanto a un esercito provato da anni di continue campagne. A vigilare l’Impero gallo-romano di Tetrico, che non era in grado di predisporre alcuna politica di espansione, poteva bastare il corpo militare stanziato nella provincia narbonense agli ordini di Giulio Placidiano, ma nei confronti del regno di Palmira, in piena espansione, dovette piegarsi a ricorrere alle concessioni, riconoscendo a Vaballato il possesso delle province orientali, i titoli di Vir consularis, Rex, Imperator e Dux Romanorum e il diritto di battere moneta con la sua effigie sul diritto, mentre sul rovescio appariva quella di Aureliano. In questo modo veniva garantita, almeno formalmente, l’unità dell’Impero, secessione di Tetrico a parte.
Nel novembre del 270 Aureliano si trovava ancora a Roma, quando si verificò una nuova invasione nelle province della Pannonia superiore ed inferiore che Aureliano aveva sguarnito recandosi in Italia: si trattava questa volta dei Vandali Asdingi, insieme ad alcune bande di Sarmati Iazigi. Anche in questa circostanza il pronto intervento dell'imperatore costrinse queste popolazioni germano-sarmatiche a capitolare ed a chiedere la pace. Aureliano costrinse i barbari a fornire in ostaggio molti dei loro figli, oltre ad un contingente di cavalleria ausiliaria di duemila uomini, in cambio del ritorno alle loro terre a nord del Danubio.
Era appena cessata questa minaccia, che una nuova si profilava all'orizzonte all'inizio del 271. Questa volta si trattava di un'importante invasione congiunta di Alemanni, Marcomanni e forse di alcune bande di Iutungi. Aureliano, anche questa volta, fu costretto ad accorrere in Italia, ora che questi popoli avevano già forzato i passi alpini. Raggiunta la pianura padana a marce forzate percorrendo la via Postumia, fu inizialmente sconfitto dalla coalizione dei barbari presso Piacenza, a causa di un'imboscata. Nel prosieguo della campagna, i barbari però, per avidità di bottino, si divisero in numerose bande armate, sparpagliate nel territorio circostante. Aureliano, resosi conto del vantaggio che ne derivava dal poterli affrontare uno per uno separatamente, riuscì a ribaltare le sorti della guerra in Italia ed a batterli prima nella battaglia di Fano, poi nei pressi del fiume Metauro, ed infine sulla strada del ritorno nei pressi di Pavia. Una volta terminata la campagna in Italia, nel dirigersi in Oriente per combattere la regina Zenobia del regno di Palmira, batté Goti e Carpi che gli muovevano contro, ed attraversato il Danubio, uccise il capo dei Goti, un certo Cannabaude, insieme a 5.000 dei suoi armati. Per questi successi il Senato gli conferì l'appellativo di Gothicus maximus.
La crescente crisi lungo le frontiere danubiane, oltre alla secessione in Occidente dell'Impero delle Gallie ed in Oriente del Regno di Palmira, costrinse l'imperatore romano Aureliano ad evacuare la provincia delle Tre Dacie, sotto i crescenti colpi da parte soprattutto di Goti (la tribù dei Tervingi) e Carpi, oltre ai Sarmati Iazigi della piana del Tisza. Egli, sgombrando l'area a nord del Danubio, decise di formare tuttavia una nuova Dacia a sud del corso del grande fiume, ritagliando due nuove regioni dalla Mesia inferiore: la Dacia Ripense e la Dacia Mediterranea. Le conseguenze dell'abbandono romano del bacino carpatico generò, non solo nuove tensioni tra Goti e Gepidi (ad oriente), e sarmati Iazigi (ad occidente), venendo le une a contatto con le altre, ma permise di rafforzare le frontiere del medio-basso corso del Danubio con il ritiro di due intere legioni (legio V Macedonica e legio XIII Gemina, posizionate ora ad Oescus e Ratiaria) ed un consistente numero di unità ausiliarie, per un totale complessivo di oltre 45.000 armati.
Riunificazione dell'Impero: Zenobia e Tetrico (271-274) A partire dallo stesso Claudio il Gotico, ma soprattutto con il successore, Aureliano, l’ideale unitario dell’Impero romano poté concretizzarsi con la sconfitta prima di Zenobia e Vaballato in Oriente (regno di Palmira) nel 272 e poi di Tetrico in Occidente (Impero delle Gallie) nel 274 al termine della battaglia presso i Campi Catalauni. Per tale azione egli ricevette il titolo di "Restitutor Orbis" dal Senato romano e celebrò un magnifico trionfo. Tetrico e Zenobia, al termine del Trionfo celebrato in Roma poco dopo, non furono però giustiziati. Al contrario il primo fu nominato governatore della Lucania, mentre la regina orientale fu insediata a Tibur e le fu dato un senatore romano come marito. Un giusto riconoscimento per aver "salvato" i confini del vecchio impero contro le invasioni dei barbari in Occidente e dei Sasanidi in Oriente.
Politica religiosa: il culto del Dio Sole Nell'anno 274 Aureliano introdusse a Roma il culto del Sol Invictus, cercando di imporlo come culto di stato. Edifica un santuario (situato nel Campus Agrippae, l'attuale piazza San Silvestro) dedicato a questa divinità e proclama (per la prima volta in Occidente) il 25 dicembre giorno di festa in onore del nuovo dio: il Dies Natalis Solis Invicti. L'imperatore stesso si dichiarò suo supremo sacerdote, e che il potere gli fosse stato concesso direttamente da esso, inaugurando così la quasi bimillenaria formula dei re che stanno sul trono per grazia di Dio. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali.

Aureliano aveva appena concluso la riunificazione dell'Impero romano, reduce dalla vittoria sulla regina Zenobia del Regno di Palmira. La vittoria era stata resa possibile dallo schierarsi della città-Stato siriana Emesa a fianco dell'esercito romano in un momento di sbandamento delle milizie: Aureliano all'inizio della battaglia decisiva disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole, venerato ad Emesa.
Come più tardi Costantino I con il Cristianesimo, Aureliano vedeva nell'adozione del culto del Sol Invictus un forte elemento di coesione culturale e politica dell'Impero, dato che, in varie forme, il culto del Sole era già presente in molte regioni dell'impero, dall'Egitto all'Anatolia, tra le popolazioni celtiche e quelle arabiche, tra i Greci e gli stessi Romani. Inoltre, Aureliano ordinò che il primo giorno della settimana fosse dedicato al dio Sole, chiamandolo Dies Solis, cioè appunto "giorno del sole". Successivamente, nel 383 Teodosio I avendo proibito tutti gli altri culti all'infuori del Cristianesimo, decretò che il nome del giorno venisse cambiato in Dies Dominicus; tuttavia, nel nord Europa, rimase la denominazione decisa da Aureliano, da cui derivarono il Sonntag tedesco ed il Sunday inglese.
Morte (275). Aureliano venne nominato Oriens Augustus. Preoccupato per gli intrighi del Senato, che tentava con ogni mezzo di riacquistare l'antico potere perso a favore dell'elemento militare, Aureliano cercò in tutti i modi di accentrare il potere nelle sue mani anche prendendo a pretesto le reali condizioni di corruzione, malversazione e disservizio nei quali versavano la maggior parte dei pubblici uffici, zecca inclusa. E proprio mentre si apprestava ad indagare e punire i reati commessi in relazione alla coniazione delle monete d'argento, ebbe luogo una gravissima sollevazione popolare (274) probabilmente sobillata dagli stessi funzionari della zecca che temevano di essere puniti e che fu domata con molte difficoltà. Malgrado le oggettive difficoltà interne, egli non volle perdere di vista l'ormai secolare "problema partico" e verso la fine dell'estate del 275, si apprestò a preparare una spedizione contro i Sasanidi. Raccolto un forte esercito, era ormai nelle vicinanze di Bisanzio dove la flotta avrebbe dovuto trasbordarli dall'altra parte del Bosforo, quando fu assassinato da uno dei suoi segretari, per vendetta privata. L'assassinio dell'imperatore Aureliano produsse in tutto l'impero profondo cordoglio, ma anche scatenò, lungo i confini settentrionali, nuovi assalti da parte dei barbari.




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