venerdì 14 maggio 2021

I ponti romani

PONTI ROMANI

Gli etruschi, prima dei Romani, conobbero il segreto della costruzione dell'arco, con cui si potevano fare porte cittadine, acquedotti ma soprattutto ponti. L'arte di costruire ponti era sacra da cui il termine Pontifex, facitore di ponti, da cui l'attuale termine cattolico Pontefice; se poi si trattava del mastro costruttore, si chiamò in epoca romana il Pontifex Maximus, la massima carica sacerdotale pagana da cui abbiamo tratto il Sommo Pontefice.
Roma fu del resto costruita nell'unico punto in cui era possibile unire con un ponte (il Ponte Sublicio) le due sponde del basso Tevere, un ponte facile da proteggere militarmente, e da qui dominava tutto il traffico fra l'Etruria e l'Italia meridionale. L'arte di costruire i ponti fu dunque etrusca ma ben presto divenne romana.
Ma solo quando l'Urbe riuscì ad avere il controllo della riva sinistra venne costruito questo ponte, il primo della città, per volere di re Anco Marzio, appunto presso il guado del Tevere. Il Pons Sublicius (dal termine volsco sublica, tavola di legno) venne infatti eseguito interamente in legno per poter essere facilmente demolito in caso di attacco nemico.
E' il più antico ponte di Roma, realizzato in legno al tempo di Tullio Ostillio (.. - 641 a.c.) e terminato da Anco Marzio, (675 a.c. - 616 a.c.) secondo Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. Un'altra versione narra che venne eretto da popolazioni abitanti la sponda destra del Tevere molti anni prima della presunta nascita di Roma, restaurato una prima volta da Ercole in persona ed una seconda nel 614 a.c. sotto il regno di Anco Marzio.
In quanto alla tecnica si usava anzitutto deviare il corso del fiume attraverso canali e chiuse, di cui gli Etruschi avevano già la massima esperienza, quindi si scavava e si ponevano fondamenta e pilastri. Su questo veniva poggiata un'incastellatura di legno ad arco, su cui venivano poste le pietre già rastremate a scalpello.

Per ultimo si poneva il cuneo, la pietra rastremata più grande di tutte che veniva inserita al centro esatto dell'arco, dopodiché l'incastellatura di legno poteva essere tolta e usata altrove. Il cuneo diventava così la chiave di volta e il peso dei muri si scaricava lungo i montanti permettendo all'arco di sopportare carichi enormi.

La principale preoccupazione dei Romani nella scelta del luogo dove costruire il ponte fu soprattutto di avere abbondante roccia a disposizione su cui fondare le spalle dei ponti ad evitare che piene o alluvioni potessero danneggiarli.
Poi si prevedeva la temporanea deviazione del corso d’acqua tramite un sistema di palizzate e dighe. Si procedeva, quindi, allo scavo per raggiungere il massiccio roccioso su cui fondare i piloni del futuro ponte. Dopodiché si alzava una struttura lignea dotata di una sagoma semicircolare; su di essa venivano appoggiati i conci, pietre squadrate con un opportuno taglio trapezoidale.
Secondariamente, i ponti non venivano edificati dagli schiavi, perchè alla fine risultava più oneroso che non stipendiare liberi operai i quali non avevano bisogno di guardie per essere costretti al lavoro.
Gli unici accidenti che potevano distruggere un ponte romano riguardavano assestamenti imprevisti del terreno, terremoti o eventi bellici. La guerra, infatti, a volte, comportava la necessità di distruggere un ponte onde tagliare la strada al nemico invasore.
Ma ciò che gli ingegneri romani non dimenticavano era pure ciò che rappresentavano nelle loro opere, e cioè Roma, che doveva quindi rappresentare il massimo della bravura, efficacia, bellezza, forza e opulenza, insomma ciò che doveva stupire il mondo, e ci riuscirono in pieno.

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