venerdì 7 maggio 2021

Le Forche Gaudine

(Il più improbabile scenario delle versioni sul luogo
 delle Forche Caudine)

Nel 341 a.C., dopo la fine della prima guerra Sannitica, i Sanniti ottennero la pace dai Romani, impegnandosi però a rimanere neutrali nelle interminabili guerre che vedevano Roma opposta alle bellicose popolazioni vicine. Tuttavia nel 327 a.C., i Sanniti ruppero tali accordi appoggiando gli abitanti di Palepoli (Napoli), assediati dai Romani, e dopo una serie di scontri armati vennero ancora una volta battuti definitivamente nel 322 a.C., accettando di conseguenza umilianti condizioni di pace, che prevedevano tra le altre cose la consegna del fomentatore della rivolta Brutulo Papio, poi suicidatosi, e la consegna di tutti i prigionieri.

I Sanniti speravano così di riguadagnarsi lo status di alleato, ma i Romani non fidandosi più di loro rifiutarono decisamente. Nel 321 a.C., la situazione declinò, a Roma vennero eletti consoli Tiberio Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino, mentre i Sanniti elessero a loro comandante Gaio Ponzio, che al rifiuto di Roma di concedere nuovamente l’alleanza, tenne un accorato discorso al proprio popolo teso ad infiammarne nuovamente gli animi.
Durante queste intricate trattative l’esercito romano rimase stanziato nel Sannio, presso Calatia (odierna Maddaloni, in provincia di Caserta), allo stesso tempo il generale sannita Gaio Ponzio spostò segretamente il proprio esercito presso Caudio (attuale Montesarchio in provincia di Benevento). A questo punto scattò la trappola messa in atto dai Sanniti: alcuni di loro travestiti da pastori ebbero il compito di farsi catturare dai Romani presi a razziare i territori circostanti, alla loro cattura avrebbero dovuto raccontare che i Sanniti stavano assediando la roccaforte di Luceria, in Apulia, fedelissima alleata dei Romani. Preoccupati dai fatti i due consoli avevano ora due possibilità: o raggiungere Luceria attraverso un’ampia strada che costeggiava l’Adriatico, facendo però un percorso molto più lungo, oppure passando attraverso le gole di Caudio, un tragitto più impervio ma molto più corto. Dove siano queste strettoie impervie non è ben definito; evidentemente dopo l’epilogo dei fatti, la localizzazione precisa di Caudio venne rimossa dai romani, Montesarchio (BN) dove si suppone sia avvenuto, tuttavia Tito Livio ce ne descrive il luogo con molta accuratezza:

“..due gole profonde, strette, ricoperte di boschi, congiunte l’una all’altra da monti che non offrono passaggi, delimitano una radura abbastanza estesa, a praterie irrigate, nel mezzo della quale si apre la strada; ma per arrivare a quella radura bisogna prima passare attraverso la prima gola; e quando tu l’abbia raggiunta, per uscirne, o bisogna ripercorre lo stesso cammino o, se vuoi continuare in avanti, superare l’altra gola, più stretta e irta di ostacoli..” (Tito Livio ab Urbe condita libri, IX, 2).

I due consoli romani optarono per la via più breve senza però mandare nessuno in avanscoperta, accorgendosi così molto presto degli sbarramenti sanniti e notando le numerose postazioni nemiche sulle alture circostanti. Sempre Tito Livio ci racconta che l’esercito una volta arrivato in prossimità della seconda gola, la trovarono ostruita da tronchi d’albero e da imponenti macigni, i Romani si trovarono così in un vicolo cieco. L’unica soluzione per le legioni a quel punto era ritornare sui propri passi, ma dopo il loro transito, i Sanniti avevano provveduto a sbarrare anche la prima gola, chiudendo così i Romani in una trappola senza via d’uscita. 

A quel punto le forti legioni di Roma si trovarono impaurite e indecise sul da farsi, lo sgomento e il dubbio calarono sui consoli romani. Dopo un primo momento di indecisione, la disciplina romana tornò alla ribalta e subito vennero approntate le tende per i consoli, si costruì il vallo in prossimità del corso d’acqua e venne scavato il terrapieno per difendere l’accampamento dai nemici, che nel frattempo, dalle alture circostanti, li irridevano come se quello che stavano facendo fosse del tutto inutile. Arrivata la notte l’indecisione regnò sovrana, sia fra i Romani che valutavano piani per uscire da quella situazione, senza però trovare nulla di attuabile, sia tra i Sanniti che avevano si preso in trappola i soldati romani, ma non sapevano ora come disporne. Il comandante sannita Gaio Ponzio si recò dall’anziano e saggio padre in cerca di consigli. Erennio Ponzio ritiratosi da tempo dalla vita politica vista la sua avanzata età, conservava però ancora una mente lucidissima, e al messaggero mandato dal figlio consigliò di liberare i soldati romani senza far loro alcun male. La risposta non fu gradita dai Sanniti che inviarono un secondo messo per avere indicazioni più precise, Erennio questa volta consigliò di sterminare l’intero esercito. Non riuscendo a capire il senso di quelle due risposte così diverse tra loro, Erennio Ponzio venne convocato di persona al consiglio. Giunto sul posto l’anziano si limitò a spiegare il senso delle sue risposte: se i soldati fossero stati lasciati andare, si sarebbe potuto contare sulla gratitudine di Roma; se l’esercito romano fosse stato distrutto, Roma non avrebbe potuto riarmarsi in breve tempo e i Sanniti avrebbero potuto vincere facilmente la guerra.
Nel frattempo, i Romani, resisi conto di non avere nessuna via di uscita, mandarono dei legati per chiedere ai Sanniti o una pace equa, oppure che si decidessero a schierarsi a battaglia per risolvere definitivamente la questione, Gaio Ponzio non accettò e anzi, pose lui le sue condizioni. I Romani sarebbero stati fatti uscire dal proprio accampamento per passare poi sotto il giogo, vestiti solo della loro tunica per poi abbandonare il Sannio e le colonie li conquistate. La proposta venne discussa nel campo romano quando, in un consiglio improvvisato, Lucio Lentulo, legato di grande valore e figlio del difensore del Campidoglio ai tempi dell’invasione dei Galli di Brenno, parlò apertamente di resa, rendendola l’unica soluzione possibile, sia per uscire salvi da quel luogo, sia per non lasciare comunque sguarnita Roma essendo il grosso dell’esercito romano rinchiuso in quella gola. I consoli si recarono personalmente da Gaio Ponzio per trattare la resa e per fissare la data della consegna delle armi, degli ostaggi e del rilascio dell’inerme esercito romano.
Tito Livio:” Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando..

..Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore”.

L’esercito romano dopo l’umiliazione subita, si recò a Capua dove non ebbe neppure il coraggio di entrare in città, al contrario gli abitanti uscirono per portare cibo, vestiti, armi e perfino i simboli del potere per i consoli, ma i Romani sembravano sconvolti e concentrati nel loro dolore e nella vergogna. A Roma, la notizia del disastro provocò l’ abbandonò di una nuova leva e si ebbero addirittura spontanee manifestazioni di lutto: vennero chiuse botteghe e sospese le attività del Foro. I senatori tolsero il laticlavio e gli anelli d’oro, e ci furono proposte di non accogliere gli sconfitti in città. Questo non accadde ma i soldati, gli ufficiali e i consoli si chiusero nelle proprie abitazioni, tanto che il Senato dovette nominare un dittatore per l’esercizio delle attività politiche. Il popolo però non accettò le magistrature e si dovettero eleggere due “interreges”, Quinto Fabio Massimo e poi Marco Valerio Corvo. Questi proclamò consoli i migliori generali disponibili in quel periodo: Lucio Papirio Cursore e Quinto Publillio Filone.

Estratto da👇
http://romaeredidiunimpero.altervista.org/le-forche.../...



Storia, pregiudizi e Forche Caudine
Un pregiudizio è una “ opinione errata perché concepita non per conoscenza precisa e diretta del fatto o della persona, ma sulla base di voci e opinioni comuni, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore “
Se esaminiamo le tante ipotesi finora fatte sulla localizzazione delle Forche Caudine, risulta evidente che hanno come comune denominatore un pregiudizio che le discosta decisamente dal pensiero di Tito Livio: poichè l’esercito Romano ha percorso la Via Appia-Traiana per raggiungere Luceria, è lungo questo percorso che vanno cercate le Forche. Il più categorico è stato sicuramente Mommsen che, dopo aver inopinatamente spostato il punto di partenza da Caiatia sul Volturno a Calatia lungo l’Appia, sentenziò : “… Per arrivare in tempo non si poteva prendere che una via… là dove in continuazione della via Appia fu poscia costruita la via romana che da Capua, per Benevento, sbocca verso l’Apulia”! Eppure non è assolutamente così sia perché gli exploratores non avrebbero mai scelto per impiantare un castrum un sito privo della vitale acqua… Romani apud flumen castra ponunt… requisito fondamentale per dissetare migliaia di uomini e centinaia di animali al seguito (Psuedo Hyginus – De munitionibus castrorum), poi perchè Livio lo scrive chiaramente: “Duae ad Luceriam ferebant viae”. Individuare i due percorsi significa individuare il punto ove ci sono le Forche Caudine. Importante, inoltre, è pure capire il significato del toponimo Furculas Caudinas.
Esaminiamo i due punti, partendo dal significato di Furculas Caudinas.
Furculas- plurale di “furcŭla”, l’osso biforcuto presente negli uccelli a forma di V. Come toponimo Furculas indica delle gole con pendii ripidi e scoscesi, a forma di V., che spesso portano a valichi montani. Sono tanti i toponimi “composti” che indicano strade che attraversano zone con tali caratteristiche “forca d’Acero, Forcella Staulanza…”. «Caudinas» perché ubicate e/o accessibili dalla pianura campana abitata dai Caudini.
Per Livio le vie per andare da Calatia a Luceria erano due «Duae ad Luceriam ferebant viae ». Quali erano? La prima “altera praeter oram superi maris“ era la nota, conosciuta e sicura via utilizzata per andare verso il mare Adriatico (Superum) e che, una volta ristrutturata, diventerà la Via Traiana. Aveva però un difetto per le esigenze dei romani: era “longior-più lunga”. L’“altera per Furculas Caudinas, invece, era brevior -più corta”. Due percorsi distinti e separati che non ammettono confusione: “..altera”, “o l’una, o l’altra” e che danno una certezza: il percorso “brevior” era alternativo alla Via Traiana ed attraversava una zona detta Forche Caudine.
Tutta la vicenda si basa sugli interessi contrastanti di Romani e Sanniti: gli uni volevano guadagnare tempo per evitare di arrivare a Lucera troppo tardi, gli altri volevano dare ai milites una sonora lezione visto che stavano sottraendo loro sia i vitali pascoli intorno al Volturno, sia quelli Pugliesi controllabili appunto da Lucera.
Teatro della vicenda.
L’esercito romano era accampato in un castrum a Caiatia, probabilmente in quel «CASTRA ANNIBAL» che troviamo sulla Tavola Peutingeriana lungo il Volturno proprio a valle di Caiatia. E’ evidente che trattasi di un Castrum Romano passato poi nella memoria collettiva come Castrum Annibale perché, come per il Ponte di Annibale a Cerreto Sannita, sulle Forre del Titerno, fu fatto dai Romani ma detto di Annibale perché di li sarebbe passato.
I sanniti erano invece accampati « circa Caudium», cioè «pressappoco nei pressi» di Caudium o del territorio Caudino, sotto il comando di Gaio Ponzio, uomo «valente, coraggioso e colto». Il problema era: come battere un esercito più forte e ben organizzato? Affrontare i Romani in campo aperto sarebbe stato un suicidio! Occorreva studiare una «trappola perfetta» nella quale attirarli, un terreno non adatto alle loro capacità, e poi intrappolarli in gole selvagge. “Telesinus” non poteva non conoscere palmo palmo la sua zona, per cui l’Embratur (condottiero) dell’esercito sannita, studiò la mossa giusta per dare scacco matto ai romani: mosse come pedine dei finti pastori che si fecero catturare ed “estorcere” notizie preziose (per i Sanniti, ovviamente!): 1- Attenti, la vostra preziosa alleata Lucera è stata accerchiata da tutti i Sanniti che stanno per conquistarla; 2- Se volete fare prima per evitare che capitoli, lasciate stare la conosciuta e sicura Via Superi Maris e, attraversando le Furculas Caudinas, tagliate attraverso i monti che non sono presidiati come al solito dai Pentri che sono accorsi in massa a Lucera. Una via “brevior” che vi consentirà di arrivare prima ….
Poiché i tempi di marcia di una legione romana erano di 3-4 miglia al giorno, accorciare anche di una decina di miglia significava arrivare in soccorso dei preziosi alleati 3-4 giorni prima!
Gli argomenti proposti furono irresistibili per l’esercito romano che si avviò lungo il Volturno, per imboccare la scorciatoia furbamente suggerita.
Ma come individuare questo percorso più breve per Lucera? Quale era questa “aliam viam brevior” rispetto alla Via del mare? Se la via più breve tra due punti è la retta, basta tracciarne una tra Calatia (quella che sia!) e Luceria per vedere che…si taglia il Tifernum Mons, il Matese, lungo le Gole del Titerno!
Sono queste delle tipiche valli a forma di “furcula”, accessibili dalla pianura caudina antistante Faicchio, e attraversate da un tratturo a tratti scavato nella roccia “cavam rupem” che collegava, attraverso Pietraroja e Terravechia di Sepino, la Pianura Campana-Caudina con quella Dauna. 

Un percorso facile da raggiungere: bastava risalire prima il Volturno e poi il Titerno, ma normalmente superprotetto, da Monte Pugliano a Monte Cigno, trattandosi della porta di accesso al territorio Pentro. Attraversare queste gole leggendo il testo di Livio, sembra di essere accompagnati da una guida del TCI. Le coincidenze sono veramente imbarazzanti. Il tutto…sotto dei monti dai quali le rocce cadono facilmente giù, allora come oggi, senza alcuna necessità (ma come avrebbero fatto?) per i Sanniti…anzi, per i Pentri, di portarle prima su per poi spingerle giù per eseguire ben due blocchi contemporaneamente…. “saeptas deiectu arborum saxorumque ingentium obiacente mole invenere…”. Operazione praticamente impossibile, come dice l’esperto militare ing. Flavio Russo: “pura follia pensare che sia stato possibile bloccare in due punti la gola di Arpaia e sconfiggere l’esercito Romano nella pianura antistante….”.
ll capolavoro dell’astuto condottiero “telesino” fu instradare un esercito organizzato per la pianura in uno stretto sentiero tra due gole che fossero pure ad una certa distanza tra loro e facilmente bloccabili con massi fatti cadere dall’alto. Costretto a camminare in fila indiana, i romani furono intrappolati senza poter applicare le loro tattiche di guerra! Il resto…è storia conosciuta!.

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